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L'inchiesta

Disastro ambientale a Taranto sotto inchiesta i vertici dell’Ilva

Inquinamento da diossina e pcb: indagate quattro persone, tra cui il patron del siderurgico Riva e il figlio
30 giugno 2010
Vittorio Ricapito
Fonte: Corriere del Mezzogiorno - 30 giugno 2010

Decolla l’inchiesta della Procura di Taranto su fumi, diossina, furani e pcb.

Le indagini, partite circa due anni fa dopo il ritrovamento di pericolose tracce nei formaggi degli allevamenti che pascolavano a ridosso della zona industriale per ora sembrano rivolte verso una sola azienda: l’Ilva. Sono quattro gli indagati di spicco coinvolti. Si tratta del patron del siderurgico Emilio Riva, di suo figlio Nicola Riva, da poco più di un mese alla guida dell’acciaieria di famiglia, del direttore dello stabilimento tarantino Luigi Capogrosso e del responsabile dell’agglomerato 2, Angelo Cavallo. Fra i reati contestati, per la prima volta, c’è quello di disastro ambientale. Emilio Riva, proprietario dell'Ilva

Il capo della Procura jonica Franco Sebastio ed il sostituto Mariano Buccoliero, titolari dell’inchiesta, hanno chiesto di blindare l’accusa con un incidente probatorio nell'ambito di un accertamento tecnico irripetibile, ovvero una superperizia per identificare una volta per tutte qual è la fabbrica di veleni che produce diossine e pcb in quantità pericolosa per la salute pubblica.

Un atto che si rende necessario dopo che lo scorso febbraio ispettorato del lavoro e tecnici universitari che collaborano con la magistratura avevano fatto incursione nello stabilimento siderurgico per verificare le procedure di gestione delle polveri che vengono trattate ed abbattute dagli elettrofiltri dell’agglomerato 2, il più grande d’Europa.

Da mesi, da parte di associazioni cittadine ed ambientaliste, si erano sollevati cori di protesta per le incredibili nuvole di fumo, visibili perfino dai paesi della provincia distanti diversi chilometri, che in particolare di notte si sono alzate dalle ciminiere. Rilievi tecnici curati per l’Arpa, inoltre, avevano scatenato l’allarme dei pcb (policlorobifenili), composti cancerogeni banditi già dagli anni ’70, prodotti non nella combustione, come la diossina, bensì utilizzati nei trasformatori elettrici. La procura dovrà chiarire come i pcb siano potuti finire nell’erba di cui si sono cibate le migliaia di pecore finite al mattatoio. In attesa della fissazione dell’incidente probatorio, sul tavolo della Procura sono attesi i risultati delle analisi dopo il campionamento di polveri e materiali del ciclo di agglomerazione dall’ingresso ai punti di scarico dei sistemi di abbattimento dei fumi primari presso l’agglomerato 2.

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