Taranto, la rivolta delle famiglie: basta veleni dell'Ilva
«Viviamo ai Tamburi dagli anni ’50 e siamo davvero stanchi di respirare tutti i giorni le polveri dell’Ilva mettendo a rischio la salute nostra e dei nostri figli e nipoti». E’ questa la motivazione che ha spinto Alfonso Tranquillino e sua moglie Francesca Viesti, residenti in via Merodio ai Tamburi, a denunciare l’Ilva di Taranto per getto pericoloso di polveri e minerali. E il sostituto procuratore Daniela Putignano (si veda la «Gazzetta» di ieri ha raccolto questa denuncia e quella di altre due famiglie e ha indagato Emilio Riva . Lo stabile in cui vive la famiglia Tranquillino appare sporco e danneggiato anche se è già stato sottoposto ad un radicale intervento di ristrutturazione negli anni ’90 come raccontano gli stessi inquilini. «Il materiale proveniente dal siderurgico - spiega Tranquillino - si deposita sulle ringhiere e sui pavimenti dei nostri balconi e finisce in tutte le stanze, dalla camera da letto alla cucina. Non ne possiamo davvero più, ecco perchè abbiamo deciso di prendere provvedimenti legali».
La famiglia Tranquillino non è stata la sola ad imbarcarsi in quest’avventura. Anche altre due famiglie di via Manzoni e di via Mar Piccolo hanno deciso di rivolgersi alla Magistratura per far valere i loro diritti. Si tratta di tre famiglie che si sono stabilite nel rione Tamburi quando era una zona residenziale della città. E invece si sono ritrovate a dover convivere con l’inquinamento, indipendentemente dall’esposizione dei loro appartamenti. Via Merodio e via Mar Piccolo, ad esempio, si trovano in due traverse opposte di via Galeso. Via Manzoni, invece, è nei pressi del cimitero. Ma tutti devono quotidianamente affrontare gli stessi problemi. «Parlando con altri residenti del rione - dice Tranquillino -, anche distanti da casa nostra, abbiamo appreso della loro intenzione di presentare ricorso. Così, condividendo l’iniziativa, ci siamo informati da un avvocato, il quale ci ha consigliato di sottoscrivere la denuncia personalmente in quanto questi reati possono essere contestati all’Ilva solo se viene presentata querela da parte della persona offesa. E noi non abbiamo avuto dubbi a firmare quella denuncia».
Eppure, le perplessità cominciano ad affiorare proprio ora che il sostituto procuratore, Daniela Putignano, ha dato loro ragione contestando a Emilio Riva, che dell’Ilva è stato presidente sino a maggio scorso (ora gli è succeduto il figlio Nicola), che «mediante l’immissione dell’ambiente di fumi, minerali e polveri prodotti dallo stabilimento, gettava cose idonee ad offendere, imbrattare e molestare persone perché deturpava ed imbrattava le unità abitative dei denuncianti, tutte ubicate nel quartiere Tamburi, nelle immediate vicinanze del parco minerali e fossili».
«L’avvocato - dice Francesca Viesti - ci ha informato dell’esito del ricorso, ma chissà se davvero cambierà qualcosa. Sono anche anni che ci viene promessa la riduzione dell’inquinamento ma finora senza esito. Perché mai questa volta dovrebbe essere diversa dalle altre?» Il marito è più ottimista: «Noi ci abbiamo messo tutta la buona volontà esponendoci in prima persona in questa battaglia giudiziaria e abbiamo già superato un primo ostacolo. Del resto, nessun giudice avrebbe potuto darci torto. I cattivi odori provenienti dall’Ilva si sentono fino a Castellaneta».
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