Ilva, quello che i tecnici non hanno...visto
Prima della pausa ferragostana l’UDC, Sezione Don Luigi Sturzo di Statte, aveva duramente criticato l’assenza del Responsabile Ambiente di Statte, durante il sopralluogo effettuato presso lo stabilimento di Ilva S.p.A. da parte dell’intera Commissione Ambiente del Comune, avvenuta nello scorso mese di luglio. La critica si era rivelata particolarmente dura – con richiesta esplicita di dimissioni dall’incarico professionale – poiché quel sopralluogo era stato richiesto a gran voce dallo stesso Comune di Statte, ben più di un anno fa, nell’ambito di una delicatissima procedura di autorizzazione ambientale richiesta dalla stessa ILVA.
La procedura in questione è quella dell’ampliamento tecnologico di una discarica di rifiuti non pericolosi in area Mater Gratiae. Tale ampliamento, considerato da ILVA imprescindibile ai propri fini produttivi, è stato recentemente valutato in modo favorevole dalla Regione Puglia: tradotto vuol dire che la discarica si farà, l’ennesima nel territorio di Statte. La cattiva sorte sembra davvero accanirsi sul più giovane comune della provincia di Taranto, il quale può vantarsi di un primato davvero triste: quello di essere sede della più grande concentrazione esistente in Puglia (e tra le maggiori in Italia) di impianti ad alto rischio ambientale. Statte, infatti, ospita: quattro discariche di rifiuti speciali, di cui una per rifiuti pericolosi; un inceneritore; la bomba ecologica Cemerad (stoccaggio di rifiuti nucleari non più in esercizio); oltre a svariati impianti di trattamento e recupero di rifiuti. A Grottaglie, per una sola discarica, è scesa in piazza l’intera popolazione e lo stesso è accaduto a Fragagnano ed a San Marzano di San Giuseppe, giusto per fare degli esempi vicini. A Statte no, tutto tace, a partire dagli amministratori locali di maggioranza, completamente succubi del potere della grande industria e materialmente incapaci di informare correttamente le popolazioni.La storia ci insegna che quando la passione politica è troppo debole può trovare un forte sostegno nella competenza tecnica. Duole dirlo, ma oggi a Statte, manca anche quella.
Nel corso del sopralluogo, mentre i tecnici comunali erano in tutt’altre faccende affaccendati, abbiamo rilevato molte contraddizioni ed abbiamo visto, con i nostri occhi, quella che è forse la più grande discarica a cielo aperto d’Europa. Pochi forse sanno che un terzo dell’intera proprietà ILVA ricade nel territorio di Statte, in zona Mater Gratiae. Si tratta di è un’enorme area di cava, la cui ampiezza è pari a circa mille campi di calcio posti uno di fianco all’altro. In questo sito sterminato l’ILVA ha collocato, nel tempo, tutti i residui generati dalla produzione dell’acciaio e, più in genere, tutti i rifiuti prodotti dallo stabilimento. Questa enorme pattumiera a cielo aperto contiene quantità impressionanti di vari tipi di scorie di lavorazione, pneumatici usati, legnami contaminati e molto altro, il tutto stoccato in enormi cumuli alti come montagne. Durante la visita effettuata i responsabili dello stabilimento hanno testualmente dichiarato che tutti quei residui sono oggetto di recupero, in quanto materia prima secondaria. La nostra risposta come UDC di Statte è che secondo la normativa italiana qualunque attività di recupero, tra quelle contemplate dall’Allegato C alla parte quarta del Testo Unico Ambientale (in D. Lgs. 152/06), deve possedere determinate caratteristiche impiantistiche e, di conseguenza, specifiche autorizzazioni. Al contrario noi abbiamo potuto verificare direttamente che tali enormi cumuli non poggiano su alcuna pavimentazione impermeabilizzata; nè posseggono alcun sistema di raccolta delle acque meteoriche e di dilavamento. Ciò vuol dire che tutte le sostanze nocive accumulate sul terreno si trasferiscono direttamente nella falda sottostante determinando un inquinamento che durerà decenni. Anche le eventuali dispersioni di polveri e particolato in atmosfera non sono frenate da alcun dispositivo visibile di abbattimento. Ed ancora violate ci sono sembrate altre prescrizioni in materia di sicurezza dei lavoratori e tutela dell’ambiente circostante. Del resto sappiamo anche (e l’azienda ce lo ha confermato durante il sopralluogo) che in quell’area la magistratura ha già effettuato tre sequestri (legnami contaminati, pneumatici fuori uso e fanghi del canale di scolo), ma, per dirla tutta, abbiamo anche visto uomini ed automezzi all’opera nelle stesse aree poste sotto sequestro. Dire pertanto che le scorie accumulate lì da anni in enormi depositi –vere e proprie montagne come detto – costituiscano materia prima secondaria è un’affermazione dell’ILVA della quale prendiamo atto ma che, secondo la nostra opinione, sarebbe tutta da verificare, sotto il profilo autorizzativo, con la massima urgenza. In particolare ci è apparsa preoccupante la quantità e la qualità di enormi cumuli di fanghi essiccati di colore nerastro e di consistenza polverosa , per i quali sussiste il ragionevole dubbio che in situ vengano effettuate anche attività di trattamento e/o miscelazione di fanghi per i quali la nostra legislazione ambientale prevede particolari forme di cautela al fine di eliminare e/o ridurre il rischio di inquinamento. L’area di Mater Gratiae si è dunque mostrata ai nostri occhi come un enorme buco nero ambientale, costellato di materiali disomogenei, accumulati alla rinfusa senza uno specifico quadro di riferimento ambientale, popolato di uomini e mezzi all’opera nonostante i divieti già imposti dalla magistratura. L’area è così de-gradata che, probabilmente, risulterà difficile (o forse impossibi- le) bonificarla anche in un lontano futuro. Un vero e proprio scempio ambientale, che si compie oggi, giorno dopo giorno, tanto più grave in quanto taciuto dallo stabilimento e poco conosciuto anche dalle associazioni ambientaliste e dai mezzi di informazione, ancora poco inclini all’approfondimento tecnico circa la vera natura di ILVA S.p.A. La quale è si uno stabilimento che produce acciaio, ma anche un enorme gestore ambientale sul cui corretto profilo autorizzativo converrebbe fare una seria ed approfondita riflessione. Noi, in merito a ciò che abbiamo direttamente visionato, solleviamo pesanti dubbi che giriamo integralmente alle autorità competenti al controllo, con la speranza che tale invito non si disperda nel nulla. Per ciò che riguarda Statte e le sue esigenze di tutela noi riteniamo che se l’attuale maggioranza avesse davvero a cuore i problemi dell’ambiente dovrebbe utilizzare tutti gli strumenti a disposizione per impedire che, presso Mater Gratiae, nell’immediato futuro, si possa anche solo muovere un sasso. Prima sarebbe necessario approfondire, capire che cosa accade e che cosa è accaduto realmente, almeno negli ultimi tredici anni, ossia da quando il Decreto Ronchi ha introdotto nel nostro sistema normativo le autorizzazioni ambientali di tipo evoluto. Omettere tale approfondimento vorrebbe dire che la politica è definitivamente succuba della grande industria e che gli ignari cittadini non hanno il diritto di sapere, ma solo il dovere di sopportare massicci inquinamenti, magari non autorizzati.
A dire il vero non siamo per niente fiduciosi. Come detto, infatti, durante il sopralluogo effettuato nelle scorse settimane il Sindaco ed il suo Vice, dopo essersi presentati senza alcun tecnico dell’amministrazione al seguito, non hanno fatto altro che annuire a qualunque cosa dicessero gli ingegneri ed i responsabili di ILVA, mostrando, per l’ennesima volta, di avere eccessivo timore reverenziale – quasi uno stato di soggezione – nei confronti di questa grande fabbrica del Nord.. In alcuni momenti sembravano essere loro stessi i rappresentanti dell’industria che spiegavano ai consiglieri di opposizione, che lì, a Mater Gratiae, va tutto bene, è tutto a posto e si può stare tranquilli. Noi, ovviamente, tranquilli non siamo e non lo saremo finchè gli organi di controllo ci diranno, con certezza documentata, che a Mater Gratiae ILVA S.p.A. opera nel pieno rispetto della legalità ambientale.
Ai cittadini, agli organi di informazione ed a tutto il network ambientalista tarantino diciamo che sarebbe preferibile affrontare questi problemi oggi per non dover rincorrere l’ennesima emergenza al berillio od alla diossina domani, memori del vecchio adagio secondo cui prevenire è meglio che curare. Ma anche su questo siamo poco fiduciosi poiché è chiaro come il sole che oramai a Taranto o l’allarme ambientale lo lanciano i soliti noti oppure non accade nulla. E’ dire che, poco più di dieci anni fa, fu proprio Statte, con un investimento significativo anche sotto il profilo economico per un piccolo e giovane Comune, ad ospitare il primo convegno nazionale di PeaceLink, quando tale associazione si occupava ancora, prevalentemente, di promuovere la sua rete di Pace telematica. Non sarebbe ora, caro dottor Marescotti, di ricambiare la cortesia ed occuparsi un po’di più di Statte e dei danni irreparabili che ILVA le crea giorno dopo giorno in un assordante silenzio? I cittadini ringraziano ed attendono speranzosi che anche su queste colline desolate possa giungere, quasi per miracolo, un po’ di Alta Marea.
Rispondo volentieri al consigliere comunale di Statte Aldo D'Ippolito che, su Taranto Sera di ieri, aveva sollecitato PeaceLink a "occuparsi un po' di più di Statte" per le questioni ambientali, e in particolare della discarica Mater Gratiae dell'Ilva.
Ha ragione Ippolito quando dice che su tali questioni occorre una maggiore attenzione. E' un invito che personalmente accolgo e che sicuramente l'intero movimento di Altamarea è disposto ad affontare. Siamo accerchiati e incalzati da una tale quantità di problemi che, quando facciamo il bilancio, ci accorgiamo di essere sempre in debito. Ecco perché abbiamo bisogno delle sollecitazioni, della partecipazione e soprattutto delle informazioni. Sono le informazioni, nella loro evidenza, che costituiscono la nostra forza d'urto e di cambiamento. Sono convinto che siamo seduti su un vulcano e che dobbiamo portare i giornalisti nazionali sulla bocca di questo vulcano. E' stata proprio PeaceLink che ha portato a Statte ad esempio Famiglia Cristiana nel 2008 (http://www.stpauls.it/fc08/0841fc/0841fc51.htm) a parlare di Statte e del suo inquinamento. A Statte PeaceLink ha trovato quel pezzo di formaggio da cui è nato il "ciclone diossina". Certo potevamo fare di più ma la nostra forza sta nelle "ecosentinelle" che scattano foto, raccolgono documenti, focalizzano i problemi fino al dettaglio. Il segreto della nostra informazione sta nel dettaglio, nella precisione, nell'attendibilità scientifica, quella appunto che i giornalisti desiderano e che possono trovare ogni giorno sul nostro web. Ecco perché sulla questione delle discariche Ilva occorre andare a fondo con il bisturi della precisone, del dettaglio. Dobbiamo sapere di più e incalzare gli enti preposti a condividere le loro informazioni e ad accrescerle in quantità, precisione e attendibilità.
Sono convito, come D'Ippolito, che è nelle viscere della terra che sono nascosti i segreti da cui dipende la sicurezza o meno delle generazioni future, oltre che della nostra. Lo stesso destino del nostro territorio è legato alla sua integrità. Nessuno sviluppo futuro sarà possibile se non si chiarisce su quale vulcano siamo seduti e su quali segreti nasconde.
Fino a ora abbiano affrontato l'inquinamento dell'aria e degli alimenti. Resta ancora da fare molto sul mare e sul sottosuolo, sulle discariche. Il lavoro è imponente e si spalanca di fronte a noi una caverna oscura, inquietante, quella che ci conduce verso un passato di silenzi: che fine hanno fatto le tonnellate di polveri alla diossina trattenute negli elettrofiltri in questi anni di ciclo siderurgico? In quali discariche sono state stoccate? Ho fatto solo un esempio, ma le stesse domande si possono moltiplicare per tutti gli inquinanti. In particolare occorre fare chiarezza sui cancerogeni, che - quando non si prendono le precauzioni di legge - possono pentrare in profondità fino a compromettere la falda e le relative acque.
Lascio a Taranto Sera i miei riferimenti personali perché sarà un piacere incontrare Aldo D'Ippolito: una nuova ecosentinella è per noi motivo di vanto e stimolo per fare di più.
Alessandro Marescotti
Presidente di PeaceLink
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