Veleni, rifiuti e i «no», l’ora del salto
Caro direttore,
esiste una città famosa per essere stata una delle culle della cultura dell’occidente, che ha insegnato educazione e saggezza ai potenti dell’impero romano e che gli stessi romani descrivevano paesaggio paradisiaco. Questa città è Taranto. Anche oggi continua a essere fra le prime città al mondo, non per cultura, ma per inquinamento. Anche chi non è attento ai problemi ambientali saprà che il 90% della diossina prodotta in Italia proviene da Taranto e sempre da Taranto "parte" quasi il 9% della diossina europea. Ci sono anche altri agenti inquinanti, come ad esempio il benzo(a)pirene che la grande industria Ilva (estesa tre volte la città...), emette senza un controllo metodico e costante. Basta vedere, anche da decine di chilometri, le immagini infernali, sentire la puzza di fuliggine che si estende su tutta la città o i cosiddetti parchi minerali scoperti (montagne di minerali alte decine di metri) che colorano di rosso tutto il quartiere adiacente, per far sì che i tarantini possano sentirsi invidiosi della spazzatura della Campania. A Napoli l’Ilva è stata chiusa senza nessun problema particolare, così come a Genova. Una proposta potrebbe essere quella di offrire gli ettari di terreno su cui insiste l’"area a caldo" (quella che inquina) dell’acciaieria per costruirvi almeno 5 termo-valorizzatori (non inceneritori) per accogliere volentieri la spazzatura di Napoli, a patto che i lavoratori per la trasformazione del territorio e la costruzione degli stessi termo-valorizzatori siano lavoratori ex Ilva. Così si risolverebbe un problema per il governo, si risparmierebbero i soldi nostri per mandare la spazzatura in Germania o chissà dove e si produrrebbe energia pulita. Il Governo avrebbe questo "coraggio"? Purtroppo si arriva al punto estremo di desiderare la spazzatura altrui quando, dai problemi ambientali, si passa ai problemi sanitari e quando la popolazione di una città diventa quella con il più alto tasso di tumori accertati e quando (fatto emblematico) addirittura ci sono i bambini che – su ordinanza del sindaco – non possono giocare più sulla terra perché è carica fuori ogni misura di diossina. Ecco perché arrivo a dire che per Taranto la spazzatura di Napoli sarebbe sicuramente un buon punto di partenza per far risorgere il suo popolo. Per il governo un grosso problema in meno.
Antonello Ciavarelli, Taranto
RISPOSTA DEL DIRETTORE DI AVVENIRE
La sua lettera, caro amico, è accorata e spiazzante. Ma soprattutto reclama coraggio, fantasia e persino una visionaria lungimiranza da chi ha il potere di decidere: a Taranto, a Bari, a Roma e altrove…. Ci sono, infatti, catastrofi che noi uomini siamo costretti a fronteggiare e disastri che, invece, siamo noi stessi a provocare. Credo che lei, caro signor Ciavarelli, sia riuscito a sottolinearlo con esemplare misura e salutare crudezza, tirando seriamente in ballo – pur senza citarla in modo diretto – la nostra famosa "classe dirigente". Ma lei fa anche di più. Ci ricorda, in sostanza, che il detto la "monnezza è oro" non vale solo per i malavitosi di casa nostra, che s’ingrassano grazie a cinici giochi sulla gestione della discariche (non solo abusive) e sui rifiuti tossici. E fa capire che non è – non può essere – nemmeno una verità buona soltanto per qualche troppo isolata esperienza italiana e per la gran parte della Mitteleuropa e della Scandinavia. I termovalorizzatori sono certo mezzi da usare con intelligente lettura delle caratteristiche e delle esigenze dei territori, ma vanno considerati una chance, non una maledizione. Serve, in definitiva, un "salto" fuori dalla retorica e dall’immobilismo da compiere con una determinazione almeno pari alla cultura che non possiamo più evitare di mettere in campo nella gestione delle risorse della terra, dei prodotti del nostro ingegno e delle nostre industrie, dell’impressionante (e inquinante) quantità di rifiuti che i nostri stili di vita "evoluti" accumulano. Questa cultura è quella della sostenibilità. Cioè dell’equilibrio, della raccolta differenziata e del riciclo. Ho scelto con cura i "doveri" ai quali non possiamo più sottrarci, e non sono partito per caso dall’equilibrio che dovrebbe essere – su ogni tema e a qualunque livello di responsabilità – anche la prima virtù di chi governa. Mi colpisce, infatti, terribilmente la raffica di "no" (a prescindere) alla richiesta di solidarietà della Campania arrivata da non poche Regioni, e in particolare mi colpiscono i toni usati da Veneto e Piemonte e l’ostile imbarazzo della Lombardia. Mandateli in Germania o ancora più in là, dicono in sostanza, perché lì sanno come trattarli. Ma questi "no" non raccontano di Regioni buone e cattive o, più verosimilmente, non dicono solo di amministratori virtuosi e incapaci. Sono i desolanti esclamativi di un Sistema Italia che non funziona e che è in emergenza praticamente ovunque. E proprio perché non si può rimanere impigliati all’infinito in una logica d’emergenza e non si possono massacrare i luoghi e l’immagine della nostra bellissima Italia, io dico che ci sarebbe bisogno di ben altro. Per non essere accusato di vuoto "benaltrismo", mi spiego subito. È giusto – e non solo perché siamo in tempi di vacche magre – mantenere finalmente in Italia fino all’ultimo centesimo i soldi che continuiamo a pagare a tedeschi o scandinavi per trasformare in energia i rifiuti campani. Ed è ormai inevitabile pianificare e avviare un piano nazionale per regolare in modo uniforme ed efficace sia a livello della gestione dei cicli di smaltimento e di riuso sia a livello dei comportamenti dei cittadini e delle regole loro proposte e imposte. Chi come me ha la faticosa fortuna di vivere e conoscere diverse realtà regionali e cittadine sa che siamo alla babele, e che anche intorno a sacchi di spazzatura e cassonetti l’unità nazionale è incredibilmente tutta da immaginare. Ma nessuno si salva da solo, e non possono essere sempre e solo i mascalzoni a "fare rete" (e intossicanti affari) tra Sud e Nord.
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