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Tre immagini ci consegna questa lunga e caldissima estate tarantina

Città Vecchia, ambiente e cozze: è il tempo delle scelte

L’auspicio è che nelle pagine successive si possa raccontare di una città che con un energico scatto di orgoglio ha saputo trovare la strada per crescere senza cancellare la storia, l’identità, le radici
2 settembre 2011
Luisa Campatelli (Direttore Corriere del Giorno)
Fonte: Corriere del Giorno - 01 settembre 2011

Tre immagini ci consegna questa lunga e caldissima estate tarantina. Sono le immagini della Città vecchia piena di gente, luogo di incontro, crocevia di spettacoli, presentazioni, visite guidate, dibattiti e grandi mangiate; delle cozze tarantine sfrattate dal Mar Piccolo e ora in cerca di una nuova casa; della nube scura e maleodorante che ha stazionato nel cielo prima di precipitare al suolo con il suo carico di sostanze dannose. foto di Taranto

Quella del 2011 sarà ricordata come l’estate degli amori ritrovati e delle speranze che rischiano di perdersi per sempre, dei drammi individuali e collettivi, delle condivisioni e delle spaccature, degli interrogativi che non trovano risposta immediata e si aggiungono a quelli che si pone qualsiasi persona di buonsenso di fronte al quotidiano spettacolo di fumi e fiamme provenienti dall’area industriale. Come spesso accade in questa città, il quadro complessivo ha colori contrastanti, da amalgamare e armonizzare con il resto.

C’è molto da togliere ma anche tanto da conservare, proteggere, far attecchire e germogliare. La prima immagine è la cartolina di un centro storico finalmente ritrovato, aperto, accessibile, vicino e avvicinabile non solo una volta all’anno e attraverso itinerari protetti. L’Isola che Vogliamo è la dimostrazione che, grazie all’impegno di operatori culturali e imprenditori, questo spazio di Taranto, il più prezioso, può realmente esercitare il ruolo che le spetta di nascita e di diritto.

Mettendo da parte retorica e riserve mentali non possiamo che dare un giudizio  positivo sui mercoledì nell’Isola. Un punto di partenza importante e significativo di quel percorso tante volte annunciato e mai veramente compiuto di rinascita e rigenerazione del centro storico. Pur con gli inevitabili elementi di criticità che un’iniziativa di questa portata comporta, l’appuntamento settimanale che ha scandito il mese di agosto ha rappresentato una novità assoluta e determinante per certificare lo stato di salute e di entusiasmo di una comunità che ha invaso vicoli fino a ieri semideserti e abbandonati. Detto ciò, ci uniamo al coro di chi non vuole un’Isola dove manca un rigoroso controllo da parte delle forze dell’ordine, tappezzata di bottiglie di birra vuote, attraversata da ciclomotori impazziti, pervasa dal tanfo provocato da chi l’ha scambiata per un gabinetto pubblico, stretta nella morsa del traffico, abitata da palazzi fantasma ed edifici murati, fatiscenti e ad alto rischio di crollo. Dopo queste “prove tecniche di rinascita” che hanno reso tangibile il legame che unisce le diverse sponde di Taranto c’è da fare il passo successivo, quello più complesso e sostanziale. Un avanzamento che dovrà necessariamente vedere insieme pubblico e privato, cittadini e istituzioni, imprenditori e professionisti.


E poi c’è l’immagine delle cozze sfrattate, il simbolo della città dei Due Mari che diventa l’ennesimo prezzo da pagare sull’altare di uno sviluppo che ha stravolto e alterato tutto ciò che era cresciuto prima, molto prima che arrivassero le ciminiere. Le gestione, spesso scomposta e poco accorta, del rapporto tra la città e i grandi insediamenti industriali che producono nel nostro territorio, nel tempo sta facendo emergere limiti enormi, che vanno superati attraverso un’azione responsabile e lungimirante. Taranto non deve indietreggiare, farsi sempre più piccola (ieri l’abbattimento delle pecore, oggi la distruzione delle cozze…) di fronte all’enormità degli interessi in gioco. Rinunciare ad uno dei suoi principali marchi distintivi, la cozza tarantina appunto, sarebbe una perdita dalle conseguenze negative incalcolabili, un segnale di resa incondizionata. E, infine, ecco la terza  immagine di questa estate fatta  di cieli solcati di scuro, cattivo odore nell’aria, finestre sprangate. Non è più possibile affidare le speranze di cambiamento all’effetto dei venti che prendono il fumo e lo spostano da un’altra parte. Questo è il momento della chiarezza, delle risposte certe, delle contromisure. Chi rappresenta la città deve fare domande e ottenere risposte. Comune, Provincia, Regione, Governo centrale, ciascuno per le proprie competenze, hanno il dovere di salvaguardare Taranto che è una città uguale a tutte le altre. E se la normativa vigente non risulta adeguata va modificata e migliorata in base alle esigenze specifiche del territorio e dei suoi abitanti. Chi siede  in Parlamento ha facoltà di avanzare proposte e farsi portavoce delle richieste che vengono dai cittadini. Il sindaco, primo responsabile della tutela della salute pubblica, deve pretendere che sulla sua scrivania arrivino dati e documenti  aggiornati su emissioni e livelli di inquinamento e, quando il caso lo richiede, intervenire secondo i poteri che gli vengono conferiti dalla legge.


Inoltre, chi riveste ruoli-chiave in ambito istituzionale acquista forza e potere contrattuale se affiancato da esperti dotati di conoscenze approfondite rispetto all’articolata realtà produttiva tarantina, capaci di interloquire con tecnici e responsabili dei colossi industriali per evidenziare problemi e proporre soluzioni. Taranto non si può accontentare della sistemazione di impianti sportivi o aree verdi come sta facendo con la Cementir. Ci vuole ben altro per compensare un rapporto che, in questo modo, risulta fortemente squilibrato.


Tre immagini, tre capitoli aperti. L’auspicio è che nelle pagine successive si possa raccontare di una città che con un energico scatto di orgoglio ha saputo trovare la strada per crescere senza cancellare la storia, l’identità, le radici.

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