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Fa molto discutere la campagna pubblicitaria che l’Ilva ha recentemente lanciato per rivendicare i suoi sforzi in materia di sicurezza sul lavoro e difesa dell’ambiente

Ilva: se questa è la difesa...

I tre spot del colosso siderurgico sono autoassolutori solo in apparenza. Vorrebbero rispondere alle critiche ma in realtà non lo fanno, e anzi finiscono per confermarle implicitamente
18 ottobre 2011
Giuliano Pavone

Fa molto discutere la campagna pubblicitaria che l’Ilva ha recentemente lanciato per rivendicare i suoi sforzi in materia di sicurezza sul lavoro e difesa dell’ambiente. Come è ovvio, un’azienda ha tutto il diritto di investire in comunicazione per diffondere i messaggi che reputi più funzionali alla propria immagine e, in definitiva, al proprio profitto.

E’ però interessante analizzare il contenuto dei tre spot commissionati dal
Gruppo Riva. Fumi Ilva



Due di essi parlano di investimenti effettuati dall’azienda: in ore di formazione per la sicurezza sul lavoro, e in denaro per la riduzione delle emissioni. Chi scrive non ha motivi per dubitare che quelle cifre siano veritiere, e non ha elementi per valutare se siano alte o basse. Ma il punto
è un altro: qui si parla soltanto di mezzi impiegati, non di risultati ottenuti. Sono due punti di vista inconciliabili e lontanissimi: l’industria si limita a dichiarare “ho speso abbastanza”, come se questo l’assolvesse automaticamente da ogni (eventuale) reato. I tarantini invece gradirebbero
sentirsi dire che non dovranno morire più di lavoro o di inquinamento, o almeno non più degli abitanti di qualsiasi altra città industriale del mondo occidentale. Ma questo l’Ilva si guarda bene dal garantirlo.

Il terzo spot parla invece di risultati: “Nel 2011 lavoreremo per ridurre le emissioni di diossina a 0,4 nanogrammi: la soglia più bassa d’Europa”. In questo caso vanno notati due elementi. Il primo è che non si sbandiera un traguardo ottenuto, ma solo l’impegno a ottenerlo in un  indefinito futuro. Il secondo è che gli 0,4 nanogrammi non sono affatto la soglia più bassa d’Europa bensì il limite massimo di emissioni stabilito dalla legge. Certo, i testi pubblicitari sono fatti per tirare acqua al mulino di chi li paga, anche a costo di qualche forzatura. Ma non dovrebbero contenere informazioni false. Quello slogan, tradotto in notizia, suona più o meno così: “Nel 2011 le nostre emissioni di diossina sono ancora fuorilegge per la normativa
europea (protocollo di Aahrus, 1998), italiana (recepimento del medesimo protocollo, legge 125 del 2006) e regionale (legge 44 del 2008)”.

Insomma la battaglia fra Ilva e fronte ambientalista si combatte anche a colpi di comunicazione, ma i tre spot del colosso siderurgico sono autoassolutori solo in apparenza. Vorrebbero rispondere alle critiche ma in realtà non lo fanno, e anzi finiscono per confermarle implicitamente.

Sicurezza sul lavoro e questione ambientale sono temi complessi e delicati. Spesso le opinioni si fondano più sull’emotività e sugli interessi che su cifre e fatti reali. Chi dà ragione sempre e per partito preso a una delle due parti in causa, sia essa l’accusa o la difesa, pecca di superficialità o
manca di onestà intellettuale.

Certo, però, che se questa è la difesa…

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