Lettera aperta ai vescovi di Puglia sulla salvaguarda del creato in questa regione
Carissimi Pastori delle Chiese di Puglia,
nel messaggio del 1° gennaio del 2010 per la celebrazione della XLIII Giornata Mondiale della Pace, Se vuoi coltivare la pace, custodisci il creato, il Santo Padre poneva “le minacce originate dalla noncuranza – se non addirittura dell’abuso – nei confronti della terra e dei beni naturali che Dio ha elargito” sullo stesso piano di quelle rappresentate da “guerre, conflitti internazionali e regionali, atti terroristici e violazioni dei diritti umani” (n.1), ed affermava:
“È anche necessario che l’attività economica rispetti maggiormente l’ambiente. Quando ci si avvale delle risorse naturali, occorre preoccuparsi della loro salvaguardia, prevedendone anche i costi – in termini ambientali e sociali –, da valutare come una voce essenziale degli stessi costi dell’attività economica… L’uso delle risorse naturali dovrebbe essere tale che i vantaggi immediati non comportino conseguenze negative per gli esseri viventi, umani e non umani, presenti e a venire” (nn. 7-8).
Come non sentire queste parole rivolte a noi abitanti di una delle regioni più martoriate d’Italia a causa dei livelli di inquinamento ambientale? Già nel lontano 1989 il Beato Giovanni Paolo II in riferimento alla situazione della sola zona di Taranto ebbe a dire:
“Vi è una grave situazione ecologica, con le sue preoccupanti ripercussioni sulla natura, sul patrimonio zoologico ed ittico e sulla vita quotidiana delle persone. Il campanello di allarme è già scattato, anche qui a Taranto. Occorre ora far sì che le decisioni dei responsabili ne tengano conto, cosicché l’ambiente non venga sacrificato ad uno sviluppo industriale dissennato: la vera vittima, nel caso, sarebbe l’uomo; saremmo tutti noi… Le nuove circostanze richiedono da tutti uno sforzo di rinnovata analisi e di creatività, affinché agli uomini e alle donne di Taranto vengano offerte nuove possibilità di lavoro, possibilmente più confacenti alla realtà ambientale in cui essi vivono: le industrie, il cosiddetto terziario, ma anche un’agricoltura rinnovata e tutto ciò che può gravitare intorno alla ricchezza del mare” (Incontro con i lavoratori e i dirigenti dell’ILVA del 28 ottobre del 1989). Ora crediamo che nel frattempo la situazione sia non solo notevolmente peggiorata ma si sia estesa quasi all’intera regione.
– Tre fabbriche pugliesi, l’Ilva di Taranto, la centrale Enel di Cerano e il petrolchimico di Brindisi (in parte dismesso) fanno del Salento la zona che emette il più alto tasso di CO2 in Italia (in particolare la centrale al carbone da sola rilascia 1\3 di tutta l’anidride carbonica immessa in atmosfera dall’intera economia nazionale), a tacere di polveri sottili e numerose altre sostanze dichiaratamente tossiche,quando non direttamente cancerogene.
– Il Salento è responsabile della produzione del 10% della diossina rilasciata in Europa e del 90% della diossina rilasciata in Italia (segno del livello preoccupante raggiunto da questo degrado ambientale è la presenza di diossina nel latte materno).
– Il sistema di smaltimento dei rifiuti è garantito per lo più dall’uso di inceneritori (quello di Massafra condannato dall'Europa, di Modugno, e di Borgo Tressanti-Manfredonia ancora in fase di realizzazione) i quali, come gli altri impianti industriali su citati, rilasciano nell’aria particolato ultrafine (le cosiddette nano polveri: PM2.5; PM0.1; ecc…) che le più moderne tecnologie fanno fatica a rilevare e che è all’origine di svariate forme di neoplasie (in taluni casi parte degli agenti inquinanti giunge persino a modificare il patrimonio genetico degli esseri viventi).
– Secondo il dossier sull’attività delle forze dell’ordine presentato il 7\6\2010 la Puglia è al secondo posto in Italia, subito dopo la Campania, per reati legati al ciclo di smaltimento dei rifiuti.
Alla luce di questi elementi non stupisce il dato secondo il quale in Puglia solamente negli ultimi 10 anni i tumori siano aumentati del 30% (a Taranto la perizia epidemiologica ordinata dalla magistratura ha addirittura accertato un eccesso di mortalità per emissioni industriali di 30 unità l’anno, oltre due al mese). A tal proposito – riguardo ai danni derivanti alla salute e al rischio per la vita stessa delle popolazioni esposte ad inquinanti ambientali che hanno un dimostrato effetto nocivo sugli esseri umani – è opportuno riflettere sulla indisponibilità della vita che, così come l’integrità del corpo, è dono Dio e in quanto tale un diritto degli uomini, come più volte sancito dal Magistero della Chiesa: “Ogni uomo ha diritto alla vita in quanto tale diritto gli è stato dato da Dio stesso “ (PONTIFICIA COMMISSIONE JUSTITIA ET PAX “la Chiesa e i diritti dell’uomo” ) . È importante altresì riflettere sulla gravità morale dell’esporre le popolazioni a sostanze in grado di modificare il genoma umano. Il genoma umano è il frutto del millenario e paziente lavoro della Natura che tende a rendere l’uomo adatto ed abile alla vita stessa, realizzando così il progetto di vita di Dio per l’uomo. La manomissione del genoma, con i suoi effetti devastanti di s-regolazione dei meccanismi vitali della sopravvivenza, avviene attraverso un’azione nella sede stessa in cui è depositata la mappa vitale del progetto della Vita, segnandone una potenziale deviazione dal suo naturale percorso e dalla sua destinazione. La dissennata esposizione delle popolazioni alle sostanze genotossiche è un atto grave diretto contro l’azione esecutrice della Natura, il progetto di Dio per gli uomini e il loro diritto ad essere inseriti in questo progetto. Si ritiene pertanto che Il Principio di Precauzione (formulato dalla Conferenza sull’Ambiente e lo Sviluppo di Rio de Janeiro 1992, ed in seguito ripreso dalle leggi europee), debba essere considerato il criterio guida da adottarsi per le decisioni in materia ambientale, soprattutto laddove ci sia un rischio per la salute e la sopravvivenza degli esseri umani, ed un potenziale danno per il genoma.
Diventa così particolarmente significativo l’invito rivolto nel Messaggio per la 4° Giornata per la salvaguardia del creato (1° settembre 2009), Laudato si’, mi’ Signore…per frate Vento et per aere et nubilo et sereno et onne tempo, per lo quale, a le Tue creature dai sostentamento, dalla Conferenza Episcopale Italiana la quale proponeva “all’attenzione delle comunità ecclesiali il rinnovato impegno e l’attenzione per quel bene indispensabile alla vita di tutti che è l’aria”, dal momento che “l’aria che respiriamo è collegata con la vita”.
Questi dati ci hanno spinto ad analizzare in modo approfondito le cause che hanno condotto alla situazione presente.
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La Puglia nel secondo dopo guerra, e più precisamente dalla fine degli anni ’60, è teatro di una vasta industrializzazione. Manfredonia, Brindisi, Taranto e Bari hanno visto la nascita di insediamenti industriali afferenti al ramo della chimica di base, della siderurgia, dell’energia e della farmaceutica. Si è trattato di industrie di enormi dimensioni spesso occupanti aree da due a quattro volte gli abitati rispetto ai quali si trovavano in stretta prossimità. Questa industrializzazione, imposta a questi territori, ha dato lavoro a decine di migliaia di famiglie, quasi tutte provenienti dall’agricoltura e molte con esperienze di emigrazione in Europa centrale, e ne ha profondamente modificato gli stili ed i tenori di vita. Negli anni ’80 si è poi costruita a Brindisi una delle più grandi centrali elettriche d’Europa alimentate a carbone, trasportando e consumando questo tipo di combustibile in quantità annue che hanno raggiunto picchi di 9 milioni di tonnellate.
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Nel corso degli anni il lavoro della nostra gente nei grandi insediamenti ha accresciuto la ricchezza ed il prestigio del nostro paese ed anche il reddito delle nostre province. Nel contempo, spesso in coincidenza di incidenti industriali e della previsione di nuovi impianti, cresceva la consapevolezza che si stava realizzando un impatto negativo non trascurabile sulla salute dei lavoratori. Inoltre emergevano evidenze circa modificazioni all’ambiente circostante agli insediamenti soprattutto in relazione allo smaltimento di residui di lavorazione per lo più molto tossici, ma anche alle “mere” emissioni, di ogni genere, connaturate al normale ciclo produttivo.
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Alla fine degli anni ’80 il legislatore italiano individua alcune “aree ad alto rischio di crisi ambientale” su tutto il territorio nazionale tra cui, nella nostra regione, Brindisi, Taranto e Manfredonia (L 349/1986/art. 7, istituzione del Ministero dell’ambiente). In queste aree viene avviata anche un’attività epidemiologica tendente ad individuare eventuali eccessi di alcune cause di morte nelle popolazioni ivi residenti mettendole a confronto con la media regionale. I primi rapporti rilasciati dalla sezione italiana della Organizzazione Mondiale della Sanità a metà degli anni ’90 mostrano eccessi di cause di morte per alcune patologie soprattutto tumorali nei capoluoghi di Brindisi e Taranto (BERTOLLINI ET AL., Roma: Organizzazione Mondiale della Sanità, Centro Europeo Ambiente e Salute, Divisione di Roma, 1997).
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Alla fine degli anni ’90 il legislatore individua aree industriali pesantemente inquinate che necessitano di essere bonificate perché la permanenza dei tossici versati negli anni nel terreno costituisce un pericolo per lavoratori e popolazioni. Si tratta sempre di Brindisi, Taranto e Manfredonia (L 426/1998, nuovi interventi in campo ambientale).
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Per iniziativa principalmente di gruppi isolati di ricercatori e successivamente, sia pure con molta sporadicità, per azione delle stesse autorità sanitarie sono divenuti disponibili dati epidemiologici relativi alle popolazioni residenti intorno agli insediamenti produttivi ed ai lavoratori, però solo, per questi ultimi, di quelli delle lavorazioni dismesse. I dati mostrano concordemente una maggior espressione di alcune patologie in relazione alla vicinanza agli insediamenti produttivi dei residente (BELLI ET AL., Case-control study on cancer risk associated to residence in the neighbourhood of a petrochemical plant. Eur J Epidemiol 2004) ed ad alcune mansioni lavorative all’interno degli impianti (MASTRANTONIO ET AL., La mortalità per tumore maligno della pleura nei comuni italiani 1988-1997, Roma, Istituto Superiore di Sanità, 2002). Diviene possibile stabilire, quindi, una diminuzione di salute e di vita in rapporto alla vicinanza o all’impiego lavorativo nelle grandi industrie.
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La sempre più approfondita conoscenza dei processi produttivi da parte dei lavoratori, degli amministratori e di cittadini attivi e consapevoli ha permesso di individuare le sostanze pericolose che fuoriuscivano e fuoriescono dalle lavorazioni e le loro relazioni con alterazioni ambientali e sanitarie. Tale consapevolezza ha posto il problema dei controlli ambientali che le autorità preposte non sono state per decenni in grado di realizzare autonomamente e che ora si sono attrezzate perché siano, sia pure parzialmente, effettuate a seguito delle pressanti richieste di ampi settori delle popolazioni interessate. Anche se, in questo senso, bisogna ricordare con viva preoccupazione le recenti novità legislative introdotte in materia di controlli dal decreto “semplificazioni” (D.L. 5\12) del Governo Monti tendenti, di fatto, ad allentare ulteriormente la già del tutto insufficiente attività degli Enti pubblici, con vaste aree di controlli che saranno sostituite da mere “certificazioni”; tutto in nome di un malinteso e demagogico spirito di “collaborazione amichevole” tra controllori e controllati e con buona pace, anzitutto, del principio di stretta legalità che deve connotare, ontologicamente, l’agire di tutte le Pubbliche Amministrazioni.
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Recentemente l’Agenzia Europea dell’Ambiente ha cercato di quantificare con opportuni modelli i danni sanitari intorno a circa 600 impianti industriali europei. In questa speciale classifica gli impianti pugliesi occupano posizioni di primato corrispondenti a costi collettivi stimati in diverse centinaia di milioni.
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Un distorto sviluppo ed i consequenziali squilibri hanno introdotto stili di vita consumistici che hanno posto un problema di vasta portata ambientale e sanitario, quello dei cosiddetti rifiuti. L’impiego per decenni di discariche diventate ad un tratto insufficienti e permeabili a rifiuti urbani e tossici ha posto il problema di una diversa gestione degli stessi. Si sono sviluppati orientamenti contrastanti: quello che, considerando il rifiuto un materiale pregiato del quale è possibile il riutilizzo, ne propone il recupero ed il riuso per nuovi manufatti; quello che, considerando il rifiuto, sia pure opportunamente trattato, un possibile combustibile, propugna l’installazione di impianti che producono energia attraverso la sua combustione.
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Sia le discariche che gli impianti di combustione presentano un impatto ambientale e sanitario non trascurabile. Nelle matrici ambientali intorno a questi impianti si ritrovano sostanze tossiche che rischiano di entrare nel ciclo alimentare. Inoltre, laddove sono state condotte accurate indagini epidemiologiche, intorno a discariche ed inceneritori sono state rinvenute alcune patologie in eccesso, in particolare le malformazioni neonatali ed alcuni tipi di tumore (MARTUZZI ET AL., Cancer mortality and congenital anomalies in a region of Italy with intense environmental pressure due to waste. Occup Environ Med., 2009). In realtà, l’unica impostazione, in materia di rifiuti, che limita al massimo l’impatto sull’ambiente e sulla salute pubblica non può che essere quella che parte dal più alto abbattimento possibile della quantità di rifiuti, in ossequio, peraltro, a principi ormai invalsi sia nella normativa comunitaria che in quella nazionale (c.d. “principio della prevenzione dei rifiuti”, Art. 179, c. 1, D. Lvo 152\06), prosegue con la massimizzazione del riutilizzo e del riciclaggio, tramite il massimo allargamento possibile della quota di raccolta differenziata (che nel nostro paese, al 31 dicembre 2012, dovrebbe raggiungere, per legge, il 65% della complessiva quantità di rifiuti, ai sensi dell’art. 205, c. 1, D. Lvo 152\06), e si conclude, per quanto riguarda il residuo, con lo smaltimento in discarica.
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Gli effetti ambientali e sanitari delle grandi industrie energetiche, utilizzanti carbone ed altri combustibili fossili, hanno indotto l’industria a intraprendere nuove strade, quelle delle cosiddette “fonti rinnovabili”, sulla spinta anche di incentivi governativi. Questa alternativa utilizza in parte fonti naturali come l’energia solare ed eolica ed in parte fonti di origine vegetale. Nel primo caso però l’interesse a realizzare ingenti profitti ha visto proliferare veri e propri “parchi” eolici e fotovoltaici che si sono sostituiti per i prossimi decenni a svariati ettari di colture agricole. Nel secondo caso sono stati costruiti impianti energetici che utilizzano oli vegetali provenienti da paesi sottosviluppati dove vaste aree destinate all’agricoltura a scopo alimentare sono state destinate alle produzioni, più redditizie per i proprietari, finalizzate alla produzione di olii combustibili. Inoltre le emissioni delle nuove centrali elettriche non sarebbero meno nocive di quelle tradizionali.
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Le soluzioni offerte per affrontare il problema della gestione dei rifiuti da un lato e quello della produzione energetica alternativa dall’altro, hanno di fatto aggiunto rispettivamente squilibri ambientali ed economici e ulteriore nocività a quelle preesistenti.
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Emblematico delle logiche che guidano le scelte in materia industriale ed energetiche in particolare il caso del rigassificatore a Brindisi, progettato a ridosso del porto e del petrolchimico, autorizzato attraverso procedure amministrative che sono state oggetto di attenzione da parte della magistratura, inquirente e giudicante, e di un processo conclusosi con alcune condanne e con la confisca del sito (colmata a mare), che, se costruito, avrebbe continuato ad asservire una città al modello economico dei megaimpianti pericolosi mortificando le altre possibilità di sviluppo del porto. A tal proposito è opportuno ricordare che un nuovo progetto potrebbe in futuro costituire ulteriore minaccia per la penisola salentina: il mega-gasdotto che si vuole fare sbarcare in Salento dalla Grecia-Albania il quale, a motivo della centrale di depressurizzazione connessa all’infrastruttura, rilascerebbe emissioni particolarmente dannose.
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Lo spasmodico bisogno di “fonti di energia” indotto da un modello di produzione, di consumo e, più generalmente, di società come quello nostro ha cagionato altresì la ricerca selvaggia di combustibili, in particolare di petrolio, nelle nostre terre e nei nostri mari, indipendentemente dai costi ambientali e sanitari che questa nuova dissennata “corsa all’oro nero” fatalmente comporta. Anche in tal caso, sono state soltanto la mobilitazione democratica dei cittadini sensibili ai loro beni comuni e il conseguente intervento della magistratura, al momento solo di quella amministrativa, che hanno posto un argine, almeno temporaneo, alle trivellazioni. Ma, anche in questo caso, è una “riforma” nazionale a provocare le maggiori inquietudini: quella, contenuta (anche questa) nel “decreto semplificazioni” (Art. 24, D.L. 5\12), di una norma del Testo Unico Ambientale (Art. 6, c. 17, D. LVO 152\2006). Grazie a questa novità legislativa, una volta iniziata la prospezione in mare in cerca di petrolio grazie ad un titolo già ottenuto al 2010, si può continuare a trivellare ad oltranza, senza neanche dover chiedere la valutazione d’impatto ambientale per l’eventuale proroga.
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Un siffatto modello economico, caratterizzato da una così forte concentrazione produttiva ed una occupazione di vaste aree rese indisponibili per ulteriori attività, porta sicuramente la responsabilità di una più accentuata crisi economica nella nostra regione per la mancata crescita, nei decenni scorsi, di valide alternative. Di fronte alla crisi dei modelli tradizionali che hanno ostacolato o per lo meno reso difficile lo sviluppo di altri settori economici, sia tradizionali (agricoltura) che innovativi (turismo, high tech, ecc), la crisi economica mondiale viene vissuta più dolorosamente nella nostra regione dove la povertà e la disperazione crescono e dilagano più rapidamente mentre riprende vigore il fenomeno migratorio soprattutto giovanile.
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Diventa pertanto urgente elaborare un modello di sviluppo più consono alle esigenze reali di questa regione che prenda in considerazione anche la dimensione salvifica insita in un modus vivendi che sia francescanamente armonico con il dono della creazione. Il paesaggio è un libro aperto che senza bisogno di erudizione insegna una sapienza non fatta di parole, che genera benessere spirituale, psichico e fisico. Il restauro del paesaggio urbano, rurale e naturale, può divenire la premessa sia per una rinascita sociale e culturale della Puglia, sia per la sua bonifica da ogni forma d’inquinamento ambientale e morale. In ascolto dello Spirito Creatore, alla cui scuola si è formata la tradizione millenaria del gusto estetico delle nostre comunità ecclesiali, ognuno di noi dovrebbe sentirsi chiamato a guardare, come in una tela, al paesaggio di oggi per capire dove intervenire e, con delle pennellate reali, porre rimedio agli orrori generati da quegli aspetti deleteri della modernità, che prometeicamente hanno spinto l’uomo a pensarsi completamente svincolato da Dio dal creato. A questo scopo occorrerebbe indicare alcune pratiche virtuose che possono instradare verso un modo diverso di relazionarsi con l’ambiente: a) de-cementificazione;
b) rimboschimento (per le sue peculiarità la Puglia può contribuire all’azzeramento della CO2 da fonte fossile) conciliato con ogni attività umana preesistente sul territorio (per esempio portando il bosco fin dentro la città, le aree artigianali ed industriali, bonificandole esteticamente e sanitariamente, per la ricostruzione di quel tessuto connettivo forestale che era proprio dell'antica terra di Puglia, dal Salento alla Daunia);
c) restauro storico-naturale del territorio nel rispetto del Genius Loci;
d) bonifica dagli inquinanti (rimozione di discariche abusive, riduzione dell’inquinamento acustico, luminoso, elettromagnetico, chimico e fisico, ecc…);
e) sviluppo della raccolta differenziata e azione di smaltimento che consenta di avvicinarsi il più possibile alla meta dei ‘Rifiuti-Zero’;
f) sviluppo di forme di agricoltura incentrate sulle filosofie del biologico;
g) recupero della biodiversità naturale e agro-pastorale (sviluppando ad esempio nuove economie silvicole: tartufi, funghi, manna dal Frassino Orno, castagne, sughero, zootecnia, frutti di bosco autoctoni, essenze officinali, ecc…);
h) promozione della conoscenza partecipata del territorio;
i) tutela dei beni comuni;
l) incremento della produzione energetica mediante fonti rinnovabili con implementazioni davvero eco-sostenibili, come è il caso dell’uso di pannelli fotovoltaici e solari, integrati e ubicati sui numerosi tetti inutilizzati di edifici recenti, un’ubicazione questa virtuosa e a basso impatto, che consente di evitare quelle modalità di produzione, più prettamente industriali e speculative (come gli impianti di mega-eolico che danneggiano il paesaggio della terraferma e costiero-marino; le centrali a biomasse che inquinano l’atmosfera e impoveriscono l’agricoltura internazionale; gli impianti di mega-fotovoltaico ubicati su vasti campi agricoli o aree degradate facilmente recuperabili alla natura, i quali desertificano artificialmente i suoli e cancellano interi ecosistemi);
m) risparmio ed efficienza energetica.
Alla luce di queste considerazioni vi chiediamo:
1) di offrire alle nostre Chiese un documento che ci aiuti, mediante l’indicazione di alcune linee pastorali, a rispondere in modo efficace, sia come comunità che come singoli cristiani, all’appello che Dio ci sta rivolgendo qua in Puglia attraverso il creato il quale “geme – lo percepiamo, quasi lo sentiamo – e attende persone umane che lo guardino a partire da Dio» (BENEDETTO XVI, Incontro con il clero di Bressanone, 6 agosto 2008);
2) di prendere in considerazione la possibilità di istituire una specifica commissione, in cui siano presenti esperti della nostra terra da sempre impegnati per la salvaguardia del creato, che possa fornirvi le informazioni di carattere scientifico di cui di volta in volta sentirete la necessità nella lettura della situazione ambientale del nostro territorio;
3) di interagire, nel modo che riterrete più opportuno, con la classe politica che nei diversi luoghi istituzionali governa la nostra regione, perché prenda sempre più coscienza della situazione in cui versa questo territorio ed operi scelte sempre più consone ad un sviluppo realmente rispettoso dell’ambiente.
Con l’augurio che nella nostra terra la coscienza ecologica, non sia “mortificata, ma anzi favorita, in modo che si sviluppi e maturi, trovando adeguata espressione in programmi ed iniziative concrete” (Beato Giovanni Paolo II, Messaggio per la XXIII Giornata Mondiale della Pace 1990), vi salutiamo cordialmente e vi ringraziamo anticipatamente per il contributo che saprete donarci.
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