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Taranto, all’Ilva comincia la settimana più difficile

I custodi giudiziali, cui sono affidate le aree finite sotto sequestro, devono procedere immediatamente e con rapidità all’«attuazione definitiva» di quanto dispone il sequestro
17 settembre 2012
Domenico Palmiotti
Fonte: Gazzetta del Mezzogiorno - 17 settembre 2012

 quasi due mesi dal sequestro ordinato dal gip Patrizia Todisco per disastro ambientale, cominciano forse oggi i giorni più difficili per l’Ilva di Taranto. L’«avviso» del procuratore capo Franco Sebastio, che coordina il pool di magistrati che ha indagato sull’inquinamento del siderurgico, è chiaro: all’Ilva è «inibita» la produzione e non è stata data nessuna autorizzazione a produrre con un regime ridotto. L’uso degli impianti è concesso solo per il risanamento e la bonifica in quanto devono essere bloccate le emissioni nocive. Inoltre i custodi giudiziali, cui sono affidate le aree finite sotto sequestro, devono procedere immediatamente e con rapidità all’«attuazione definitiva» di quanto dispone il sequestro.  Fumi Ilva

Sabato Sebastio ha ritenuto di dover fare questa puntualizzazione, affidando ad un comunicato-stampa ciò che ha scritto il 13 settembre nella direttiva ai custodi, proprio per sgombrare il campo da ogni equivoco e da ogni interpretazione. E questo testimonia ancora una volta che la Procura marcia per la sua strada che è appunto quella di far avanzare il sequestro e di evitare la continuazione del reato, ovvero il disastro ambientale attraverso l’emissione nell’aria di fumi, polveri e veleni. U n’eventuale variazione di linea da parte della Magistratura potrebbe avvenire solo se l’Ilva presentasse un piano di interventi che incide sugli impianti «incriminati» e questo piano fosse poi accettato dai giudici perchè ritenuto valido in quanto rispettoso delle prescrizioni formulate. Se sarà così, lo vedremo molto presto perchè l’Ilva si è impegnata a presentare a brevissimo un progetto che va ben oltre i 146 milioni di euro deliberati dal cda dell’azienda qualche settimana fa. Un piano del genere, ora che c’è l’ok di Emilio Riva ad andare avanti, potrebbe anche essere accompagnato da u n’istanza dell’azienda al gip affinchè riveda almeno in parte il sequestro stesso. Ma questo attiene all’evoluzione del confronto tra Ilva e Magistratura. Per ora, invece, il dato è che i custodi, a partire da oggi, dovranno progressivamente intervenire sugli impianti e impedire «qualunque attività produttiva». 

Certo, sarà fatto gradualmente essendo l’Ilva una grande e complessa realtà industriale e avendo gli impianti stessi delle specificità tecniche (oltretutto il procuratore raccomanda anche «tutte le cautele necessarie» per evitare il loro deterioramento e distruzione), ma non c’è dubbio che la strada sarà questa. E allora il primo interrogativo che sorge è come l’azione dei custodi si impatterà sull’occupazione della fabbrica essendo chiaro che l’Ilva dovrà progressivamente scendere da quel 60-70 per cento di produzione attuale rispetto alle potenzialità del siderurgico. 

I sindacati temono contraccolpi. Quei contraccolpi che sinora si è riusciti ad evitare anche perchè l’Ilva, in questi due mesi, difatto non si è mai fermata. Mentre Bruno Ferrante, presidente del cda, venerdì scorso a Bari, al tavolo col ministro dell’Ambiente, Corrado Clini, ha detto che l’azienda ha bisogno di lavorare perchè solo così può fare cassa e finanziare gli investimenti. Ora, però, la situazione appare destinata a cambiare, tant’è che i sindacati non escludono una ripresa delle proteste proprio come avvenne a fine luglio quando incombeva lo spettro della chiusura. Certo, da allora ad oggi il Governo è intervenuto più volte per il caso Ilva, diventato dopo il vertice di Bari anche un caso europeo come ha sottolineato il commissario Antonio Tajani, ma bisogna sempre considerare che un conto è l’azione politico-istituzionale che segue un suo percorso, altro è quella giudiziaria che segue una strada diversa. E benchè Ferrante abbia sempre auspicato «soluzioni condivise», sottolineando che c’è da tutelare l’ambiente ma anche migliaia di posti di lavoro (11.500 i solo dipendenti diretti dell’Ilva), sinora questo non si è rivelato possibile, forse anche perchè l’Ilva, come ha evidenziato il ministro Clini, non ha collaborato con i custodi e l’autorità giudiziaria come sarebbe stato necessario.

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