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Ilva, potere d'acciaio intrappolato tra Magistratura e Ministero

I sequestri, i decreti, la legge Salva-Ilva. Ed un futuro per il siderurgico appeso al filo del dibattito sulla sua incostituzionalità
27 gennaio 2013
Fonte: Inchiesta de Il Tacco d'Italia - http://www.iltaccoditalia.info/sito/index-a.asp?id=23141

Il siderugico tarantino ha una storia lunga più di mezzo secolo. La prima pietra fu posata nel 1961. Fino al 1995 era statale, si chiamava Italsider, poi i Riva ne hanno concluso l'acquisto, dopo una trattativa con l'IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale) ad un prezzo di 1.460 miliardi di lire (circa 750 milioni di euro). Un affare, se si considera che nel 2011 il Gruppo Riva Fire è arrivato a fatturare 10.015 milioni di euro. Ora, il suo futuro, è intrappolato tra Magistratura e Ministero. Ilva Taranto

I giudici, per un paio di volte, già nel 1982 (quando era ancora Italsider) e poi nel 2004, hanno giudicato fino in Cassazione i gestori dell'Ilva sulla base del reato di "getto pericoloso di cose" previsto dal nostro Codice Penale (Art. 674). Carlo Vulpio, giornalista del Corriere della Sera, nel suo recente libro "La città delle nuvole", ha ricostruito la storia di quelle due sentenze. Nel 1982, fu sempre Franco Sebastio, all'epoca pretore di Taranto, a pronunciare la sentenza di condanna a 15 giorni di reclusione per il direttore dello stabilimento. Tuttavia, il giudizio finale dinanzi alla Corte di Cassazione negherà l'applicabilità al caso del "getto pericoloso di cose" assolvendo gli imputati, anche se in seguito la Cassazione correggerà se stessa e riconoscerà la fondatezza dell'impostazione di Sebastio. Infatti, il 10 giugno 2004, la Corte di Appello di Lecce conferma la condanna a sette mesi di reclusione, sostituendo la pena detentiva con l'ammenda di 7.980 euro per ciascuno degli imputati, nei confronti di Emilio Riva e Luigi Capogrosso, all'epoca rispettivamente amministratore delegato dell'Ilva e direttore dello stabilimento tarantino. La sentenza sarà confermata anche in Cassazione.
Nel 2007 un'altra condanna in primo grado, per omissione di cautele contro gli infortuni sul lavoro, getto pericoloso di cose, violazione di norme antinquinamento e danneggiamento aggravato di beni pubblici. La condanna, inflitta dal giudice monocratico del tribunale di Taranto Martino Rosati al termine del processo per l'inquinamento atmosferico prodotto sulla città dalle grandi industrie Ilva e Agip, è a 3 anni di reclusione per Emilio Riva, 2 anni e 8 mesi per Luigi Capogrosso, un anno e sei mesi al figlio di Emilio Riva, Claudio e 6 mesi e 15 giorni all'ex dirigente del reparto cokerie, Roberto Penza. Tale condanna, il 10 ottobre 2008, è stata confermata anche dalla Corte d'Appello di Lecce con una riduzione delle pene a 2 anni di reclusione per Emilio Riva e un anno e 8 mesi per Luigi Capogrosso.

Oggi si sta indagando per ben altri reati. Due i filoni principali: da un lato quello per disastro ambientale, dall'altro quello che indaga sull'esistenza di un sistema controllo e corruzione finalizzato ad "ammorbidire" l'impatto ambientale dello stabilimento nei settori della stampa locale, dei tecnici accademici e della politica. Vicende giudiziarie che, almeno nel calendario del 2012, sono state puntualmente affiancate da interventi normativi o provvedimenti del Governo e del Ministero dell'Ambiente. La nostra Costituzione, però, prevede che il potere di chi fa le leggi (legislativo) e di chi invece ne accerta l'osservanza (giudiziario) siano separati e autonomi.
Ripercorriamo le due tappe principali del 2012 scandite dalle due operazioni di sequestro e da due interventi pubblici. Quattro passaggi così intrecciati tra loro che su alcuni di essi gravano anche i dubbi di illegittimità costituzionale.

 

Primo sequestro, "prima" intesa

Il 26 luglio 2012, il Giudice per le Indagini Preliminari del tribunale di Taranto Patrizia Todisco, con due provvedimenti, dispone il sequestro senza facoltà d'uso finalizzato al risanamento di sei impianti dello stabilimento e dispone la custodia cautelare per otto indagati (si veda scheda in coda). L'Ilva può produrre, non per profitto ma per sistemare gli impianti. E di impianti sequestrati ce ne sono sei: le Aree Parchi (minerali), le Cokerie, l'Agglomerato, gli Altiforni, le Acciaierie e la Gestione Rottami Ferrosi. Vengono nominate quattro figure, di cui tre tecniche ed una commerciale, in qualità di custodi giudiziari dell'impianto. Si tratta di Barbara Valenzano, ingegnere (dirigente del Servizio tecnologie della sicurezza e gestione dell'emergenza presso la direzione scientifica dell'ARPA Puglia), di Emanuela Laterza, ingegnere (funzionario dell'ARPA Puglia) e di Claudio Lo Frumento, ingegnere (funzionario presso il Servizio impiantistico e rischio industriale del dipartimento provinciale ambientale di Bari), che devono sovraintendere alle procedure di spegnimento e avviare le procedure tecniche e di sicurezza per il blocco delle lavorazioni. Per tutti gli altri aspetti amministrativi connessi alla gestione degli impianti sottoposti a sequestro e del personale addetto, viene individuato il commercialista Mario Tagarelli.

Stesso giorno del sequestro, le istituzioni provano a difendere la continuità lavorativa dell'Ilva e premono sull'azienda affinché parta il risanamento. Infatti i Ministeri dell'Ambiente, delle Infrastrutture e dei Trasporti, dello Sviluppo Economico, per la Coesione Territoriale, la Regione Puglia, la Provincia e il Comune di Taranto e il Commissario Straordinario del Porto di Taranto, dopo vari incontri, siglano a Roma un Protocollo d'Intesa della durata di cinque anni per interventi urgenti di bonifica, ambientalizzazione e riqualificazione di Taranto. Obiettivi del Protocollo: rivedere la strategia di bonifica dell'intero sito di Taranto, sviluppare interventi infrastrutturali complementari alla bonifica e individuare misure di protezione dell'occupazione, incentivare le tecnologie con caratteristiche ambientali migliori, attrarre nuovi investimenti e realizzare o completare studi su ambiente e salute.
Viene istituita una cabina di regia coordinata e gestita dalla Regione Puglia e soprattutto viene definito un quadro complessivo di investimenti per un totale di 336 milioni di euro. Tale cifra è ripartita in 329 milioni di parte pubblica e 7,2 milioni di parte privata. Nel dettaglio si tratta di 119 milioni di euro per le bonifiche, 187 milioni per gli interventi portuali, 30 milioni per il rilancio e la riqualificazione industriale.

 

Secondo sequestro, nuovo decreto

Nel frattempo passa l'estate, l'Ilva continua a produrre e il 26 settembre le viene anche respinto, dal Gip Patrizia Todisco, il piano di risanamento che aveva presentato. Ma il 26, per lo stabilimento, è ormai un numero stregato: il 26 novembre, due mesi dopo, c'è il secondo ciclone giudiziario (quello relativo al cosiddetto "Sistema-Ilva") che fa scattare arresti e avvisi di garanzia che vanno dal responsabile delle relazioni istituzionali dello stabilimento fino a persone esterne che fanno parte anche del mondo politico-amministrativo (si veda scheda in coda). Viene disposto un nuovo sequestro, quello dei prodotti finiti e semilavorati nel periodo successivo al primo sequestro perché frutto, secondo la Magistratura, di un attività d'impresa finalizzata al profitto e non al risanamento (si tratta di circa 1,7 milioni di tonnellate d'acciaio con un valore attorno al miliardo di euro). Subito l'Ilva annuncia il fermo degli impianti dell'area a freddo dello stabilimento, ovvero la parte che lavora i prodotti posti sotto sequestro, e improvvisamente circa 5mila lavoratori tarantini si ritrovano fermi.

Già all'indomani del sequestro ritorna protagonista il Ministero dell'Ambiente. Si materializza infatti in breve tempo, su iniziativa governativa del Presidente del Consiglio Mario Monti e del Ministro dell'Ambiente Corrado Clini di concerto con il Ministro per lo sviluppo economico Corrado Passera, un decreto ad-hoc per gli stabilimenti produttivi nazionali che hanno caratteristiche molto simili a quelle dell'Ilva di Taranto. Con un percorso di votazione abbastanza veloce (3 giorni) e con delle solide maggioranze viene approvato da entrambe le Camere del Parlamento il Decreto n. 207 del 3 dicembre 2012 "recante disposizioni urgenti a tutela della salute, dell'ambiente e dei livelli di occupazione, in caso di crisi di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale" poi convertito nella Legge n. 231 del 24 dicembre 2012.
Il decreto individua espressamente l'Ilva di Taranto tra gli stabilimenti di "interesse strategico nazionale" per i quali "sussiste un'assoluta necessità di salvaguardia dell'occupazione e della produzione". Viene decretata la continuità produttiva necessaria sia per l'adempimento delle prescrizioni contenute nell'Autorizzazione Integrata Ambientale rilasciata ad ottobre che per i "rilevanti profili di tutela dell'ambiente e della salute, della salvaguardia occupazionale e dell'ordine pubblico". Si prevede che per gli stabilimenti di interesse strategico nazionale il Ministero dell'Ambiente "possa autorizzare, in sede di riesame dell'AIA, la prosecuzione dell'attività produttiva per un periodo di tempo determinato non superiore a 36 mesi". In caso di inadempienza all'AIA, l'Ilva paga una sanzione del 10% del fatturato della società. Passaggio cruciale del decreto è costituito, tuttavia, dalla disposizione che prevede la continuità produttiva "anche quando l'autorità giudiziaria abbia adottato provvedimenti di sequestro sui beni dell'impresa titolare dello stabilimento. In tale caso i provvedimenti di sequestro non impediscono […] l'esercizio dell'attività d'impresa". Per il controllo degli adempimenti dell'AIA è stato nominato Garante a gennaio il Dott. Vitaliano Esposito (ex procuratore generale della corte suprema di cassazione) e come Commissario straordinario per gli interventi urgenti di bonifica, ambientalizzazione e riqualificazione di Taranto, l'ingegner Alfio Pini (attualmente capo del corpo nazionale dei Vigili del fuoco).
Subito dopo il decreto la Procura restituisce all'azienda gli impianti sequestrati (permettendo così l'effettiva ripresa dell'attività produttiva) e si innesca il lungo braccio di ferro, sempre tra Procura e azienda, sul blocco dei prodotti finiti. L'8 dicembre 2012, l'azienda annuncia lo spegnimento dell'Altoforno 1 per dare avvio ai lavori di ristrutturazione previsti dall'AIA.

 

La legge Salva-Ilva è incostituzionale?

I dubbi di incostituzionalità erano sorti già prima dell'approvazione del decreto del 20 dicembre scorso. Sia tra i tarantini che tra gli esperti accademici. Risale al 12 dicembre, infatti, la pubblicazione, sulla rivista specialistica "Diritto Penale Contemporaneo", di un paper a cura di Alessandro Morelli, docente di diritto costituzionale presso l'Università della Magna Grecia di Catanzaro, che mette in luce i difetti e i possibili vulnus giuridici del decreto. Secondo Morelli, il Decreto legge n. 207/2012 "suscita dubbi di costituzionalità sotto due profili: quello della ragionevolezza del bilanciamento tra principi costituzionali in campo, operato dal legislatore, e quello dell'incidenza dell'atto medesimo su un procedimento penale in corso e sugli effetti di un provvedimento giudiziario di sequestro". Inoltre, l'interferenza degli atti legislativi provvedimentali (tipo quello fatto dal Governo) con i procedimenti giudiziari è molto problematica perché coinvolge una serie di principi fondamentali dello Stato di diritto. In questo caso viene rilevato "un impiego abnorme della funzione normativa, dando luogo ad una sorta di revoca legislativa di un provvedimento giudiziario di sequestro", il caso quindi di una legge che invade l'operato della magistratura. Ci si pone la domanda se una tale invasione di campo sia sostenibile per l'ordinamento costituzionale e se "tuttavia, nella dimensione dello Stato il contesto e il fine non possono giustificare ogni possibile mezzo, pena la stessa dissoluzione della legalità costituzionale".
I punti di partenza sono questi, ma il profilo del dibattito sulla costituzionalità si è notevolmente allargato nelle ultime settimane, all'indirizzo della rivista di Diritto Penale Contemporaneo sono disponibili tutti gli ulteriori pareri e riflessioni prodotti recentemente da docenti e ricercatori di tutta Italia.
La Procura di Taranto ha sollevato il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato. Il prossimo 13 febbraio ci sarà l'udienza della Corte Costituzionale per valutare l'ammissibilità del ricorso formulato dalla Procura tarantina. Se per la Costituzione, in Italia, il potere giurisdizionale dei giudici e quello legislativo del governo sono separati, allora, secondo la Procura, il decreto è incostituzionale nella parte in cui sblocca i prodotti finiti perché crea un conflitto tra una legge del governo (la cosiddetta Salva-Ilva), che supera e annulla un provvedimento giudiziario (il sequestro) scaturito da un'azione dei giudici.
Il ricorso costituzionale contro la legge cosiddetta "Salva-Ilva" è stato depositato il 31 dicembre scorso. Nell'ordinanza depositata il 15 gennaio 2013 dal Tribunale di Taranto in funzione di Giudice d'Appello, viene sollevata la questione di legittimità costituzionale perché la Legge n. 231 del 2012 all'Articolo 3 violerebbe cinque articoli della Costituzione. Si tratta degli art. 3, 24, 102, 104 e112, violati nella parte in cui la Legge autorizza "in ogni caso" la società Ilva Spa di Taranto "alla commercializzazione dei prodotti ivi compresi quelli realizzati antecedentemente alla data di entrata in vigore" del Decreto n. 207 del 3 dicembre 2012. Nell'ordinanza presentata il 22 gennaio dal Gip Patrizia Todisco, che ha accolto quella della Procura, gli articoli 1 e 3 della legge arriverebbero a violare fino 17 articoli della Costituzione.
Norma che, sempre per la Procura, violerebbe anche la Carta dei diritti fondamentali della Ue in relazione all'art.3, diritto all'integrità fisica e psichica, e all'art.35, diritto alla salute.
Uno scontro d'acciaio.

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