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An'analisi globale della situazione

Il labirinto ILVA

Siamo entrati in un labirinto. Italo Calvino la definiva “la sfida del labirinto”. Taranto, l’ILVA, il futuro, il lavoro, la nostra stessa salute. Siamo in una situazione di stallo e di smarrimento. Per uscirne occorre tracciare quella che Calvino definiva la “mappa più particolareggiata possibile” del labirinto. La priorità per il 2017 è quella di tracciare un percorso valido per uscire dal labirinto. A chi mi chiede “cosa fare”, da alcuni mesi dico che occorre puntare sulla Legge speciale per Taranto che il Presidente della Regione ha proposto. Nella delibera si parla di una riconversione di Taranto sul modello di Pittsburgh, di Bilbao e della Ruhr.
29 dicembre 2016

Siamo entrati in un labirinto. Italo Calvino la definiva “la sfida del labirinto”. Taranto, l’ILVA, il futuro, il lavoro, la nostra stessa salute. Tutto un labirinto. I proclami non contano più. Siamo in una situazione di stallo e di smarrimento.

Labirinto

La mappa particolareggiata per uscire dal labirinto

Per uscirne occorre tracciare quella che Calvino definiva la “mappa più particolareggiata possibile” del labirinto. La priorità per il 2017 è uscire dal labirinto facendo una severa valutazione di tutte le strade sbagliate che non ci hanno portato in salvo. Il 2017 dobbiamo tracciare un percorso valido per uscire dal labirinto. Un percorso complesso, che forse non riceve acclamazioni e che forse per questo non è praticato dai partiti, abituati a comunicare per slogan e soluzioni semplici.

 

L'impossibile risanamento economico dell'ILVA

Ormai è chiaro che i governi hanno puntato su un impossibile risanamento dei conti dell’ILVA. La congiuntura economica mondiale non consente salvezza dell’azienda. Il futuro della siderurgia è buio in tutto il mondo per via dell’eccesso di capacità produttiva e della debole domanda di mercato. L’ILVA non ha futuro. E il governo italiano lo sa ma non lo dice. Per questo vuole vendere l’ILVA per lasciare al privato il compito di licenziare. Oggi l’azienda non fa utili. Perde un anno di più un anno di meno, ma perde in continuazione. Non è in grado di produrre oltre i 7 milioni di tonnellate/anno che è il livello produttivo minimo per evitare di produrre in perdita. Ma se tentasse di produrre di più in assenza di domanda di mercato, le perdite sarebbero ancora più disastrose perché si aggiungerebbe la merce invenduta. Se i sindacati dovessero gestire l’ILVA mi chiedo cosa farebbero in questo cul de sac. Mi piacerebbe vedere il governo che consegna le chiavi dell’ILVA ai sindacati e dicesse: fate voi. La verità è che questa non è un’uscita dal labirinto. Continuare a sperperare denaro e a produrre in perdita non è nell’interesse dei lavoratori.

 

La vendita dell'acciaieria

C’è poi la carta della disperazione: la vendita dell’acciaieria. Una vendita che mai avverrebbe in queste condizioni di mercato. E che il governo punta a favorire offrendo l’immunità penale ai privati che la dovessero acquistare. E’ come se potessi vendere la mia vecchia auto che nessuno vuole garantendo una patente speciale: niente multe, niente pene se viene investito qualcuno.
Vi è un secondo incentivo per vendere in condizioni di mercato proibitive: il miliardo e trecento milioni di euro che verrebbe sbloccato con il patteggiamento. Una dote che lo Stato concede a chi acquista, una sorta di bonus per garantire qualche mese di tranquillità prima dei licenziamenti.
Il patteggiamento porterà risorse che rallenteranno solamente la fine dell’ILVA. Stiamo vivendo dentro il labirinto facendo le scorte e concedendoci un anno in più, ma poi?

 

Che fare?

Siamo smarriti nel labirinto e temo che l’assenza di prospettive fiacchi anche la volontà di lotta della società civile che in questi anni ha dato tanto in termini di mobilitazione e di proposte.
In tanti mi fermano e mi chiedono: e adesso che si fa? E se prima le risposte erano brevi, ora le risposte sono più lunghe e complesse, perché più lunga e complessa è la strada per uscire dal labirinto.
Ma, nonostante i tanti decreti salva-ILVA abbiano fatto diventare il labirinto sempre più complicato, sono convinto che è possibile uscirne.
A chi mi chiede “cosa fare”, da alcuni mesi dico che occorre puntare sulla Legge speciale per Taranto che il Presidente della Regione ha proposto.

 

La Legge speciale per Taranto

Vi è stata una speciale delibera di giunta. E’ stato costituito un gruppo di lavoro. E’ formato dai consiglieri regionali eletti a Taranto e provincia. Nella delibera si parla di una riconversione sul modello di Pittsburgh, di Bilbao e della Ruhr. Esattamente ciò che da anni sostiene PeaceLink e che poi è diventato il piano di riconversione del M5S e dei Cittadini e Lavoratori Liberi e Pensanti. Se in queste cose ci crediamo davvero, è il momento di passare all’azione e di stilare un Piano B senza dividerci in guelfi e ghibellini, in bianchi e neri. La città ringrazierà chiunque avrà dato veramente un contributo fattivo, competente e convinto per la rinascita della città.

 

Il Piano B

Occorre porre subito al centro del Piano B un vasto programma di decontaminazione e di bonifica del territorio. La Commissione Europea ha specificato che l’unico “aiuto di stato” che può essere dato all’ILVA è quello per la decontaminazione. Se le risorse previste nel patteggiamento non vengono date per la decontaminazione siamo in presenza di aiuti di stato. Dobbiamo richiedere tre cose. Prima: che vi sia un cronoprogramma di decontaminazione che sia collegato alla prescrizione AIA finalizzata al ripristino del suolo e del sottosuolo. Abbiamo presentato in Procura un esposto con i dati terribili della contaminazione sotto il parco minerali. Ci attendiamo che il patteggiamento sia vincolato alla messa in sicurezza della falda e alla bonifica dei suoli, opera titanica che già di per sé assorbirebbe il miliardo e tre di cui si parla. Se questo avviene è ovvio che l’ILVA non riescono a venderla.

 

Decontaminare la falda e i terreni

E questo è il nostro obiettivo: non far vendere l’ILVA. Attualmente lo Stato ha un minimo di controllo che dopo la vendita perderebbe. Non solo: con la vendita lo Stato perderebbe la responsabilità di decontaminare la falda inquinata sotto l’ILVA. A questa deresponsabilizzazione ci opponiamo. E per questo è bene che l’ILVA non venga venduta e che il governo sia richiamato fin da ora al suo dovere di bonifica immediata dei terreni e della falda. E’ un dovere che non può essere rinviato dopo la vendita. La messa in sicurezza di emergenza va eseguita “ad horas”, questo si leggeva nella conferenza dei servizi cinque anni fa e continua ad essere scritto oggi. La Procura sa benissimo che siamo di fronte di un pericolo in atto, ad una contaminazione dei pozzi, ad un rischio di avvelenamento della catena alimentare, dato che si continua a coltivare attorno all’ILVA.

 

La Procura, il patteggiamento e la bonifica

La Procura lo sa benissimo perché lo abbiamo scritto in un documentato esposto consegnato ai carabinieri con una imponente mole di dati, chiesta al Ministero dell’Ambiente e all’Arpa, con tutti gli sforamenti della falda superficiale e della falda profonda. Di fronte a tali evidenze ha poco senso tutta la controversia se l’aria è più pulita, se il PM10 sfora o non sfora, se Taranto è come Roma. Esistono sforamenti accertati che attestano una gravissima contaminazione dei terreni profondi, delle acque sotterranee. E sarei veramente preoccupato se tutto proseguisse come se niente fosse pur di vendere al privato l’ILVA, nascondendo i veleni sotto il tappeto. Se questo avvenisse saremmo di fronte a clamorose omissioni in nome della Ragion di Stato.

 

E' venuto meno il pericolo sanitario?

Si è fatto un gran parlare di un venir meno del pericolo sanitario collegato alle emissioni dell’ILVA. Mi permetto di sottolineare che le sostanze cancerogene, neurotossiche e genotossiche emesse dall’ILVA non sono esenti da effetti sanitari, benché dimezzate. E’ come se un fumatore dimezzasse le sigarette e si sentisse tranquillo e fuori pericolo. Tanto più che le ispezioni ISPRA hanno evidenziato numerose criticità, dato che l’AIA non è stata applicata integralmente nonostante siano passati ben quattro anni nell’arco dei quali sia i Riva sia i commissari non sono riusciti a mettere a norma lo stabilimento, ad esempio i parchi minerali rimangono scoperti e la scoria liquida continua ad essere sversata all’aperto nel GRF, generando quei bagliori notturni simili ad esplosioni. Se lo Stato chiude un occhio su queste cose è come se chiudesse un occhio sulle auto che circolano con i copertoni lisci e senza cinture di sicurezza. Ho visto quattro anni di vacanza di legalità in questa nazione, quattro anni a cui non è sguita la legalità ma una legge che dichiara non perseguibile penalmente chi inquina se l’inquinamento è targato ILVA. Una cosa dell’altro mondo, che entrerà negli annali delle vergogne nazionali.

 

Lo Studio Forastiere 2016

Lo ha detto anche il presidente della Regione, Michele Emiliano, che ha presentato uno studio durissimo sulle criticità sanitarie a Taranto. Mi riferisco allo Studio Forastiere 2016 di fronte al quale il sindaco di Taranto ha dichiarato: se i dati sono veri chiudo l’ILVA. Lo studio aggiornato del dottor Francesco Forastiere (lo stesso che aveva fornito al GIP Todisco la perizia epidemiologica) è la novità del 2016. Questo aggiornamento, assieme alla scoperta che i Wind Days producono effetti sanitari avversi, costituisce un elemento solido che mette in relazione causale l’inquinamento industriale, la variazione della mortalità e dei ricoveri. Gli studi presentati a Roma dall’ISS (Istituto Superiore della Sanità) non scalfiscono minimamente lo studio Forastiere, che continua ad associare all’ILVA effetti sanitari avversi e quantificabili. Sono serviti solo a dare al sindaco di Taranto la scappatoia al sindaco di Taranto per non agire, salvo poi scoprire che il sindaco di Taranto ha consentito di continuare l’attività scolastica in un quartiere dove gli inquinanti causano disturbi dell’apprendimento e dell’attenzione, documentati proprio dallo studio dell’ISS.

 

Difendere il Quoziente d'Intelligenza

Ma vi è una cosa che mi preme sottolineare, per concludere. E’ la necessità di avere a Taranto un sistema di formazione e di ricerca all’altezza della situazione. Se questa decontaminazione va fatta, se il piano B va lanciato, allora le scuole devono essere al centro della formazione di nuovi profili professionali e di nuove competenze collegate al Piano B. Il vero Piano B è la scuola e l’Università. E’ il capitale umano. Perché se per realizzare il Piano B Taranto dovesse rivolgersi a personale proveniente da altre regioni, vorrebbe dire che il sistema formativo ha fallito. Occorre partire subito con una conferenza dei dirigenti scolastici che vanno chiamati a collaborare, assieme ai docenti, alla stesura di un progetto di riconversione culturale e di potenziamento dell’offerta formativa, in armonia con la Legge Speciale per Taranto. Dopo le ricerche dell’Istituto Superiore (ISS) della Sanità che hanno accertato un danno cognitivo causato dall’inquinamento (nel quartiere Tamburi il Quoziente di Intelligenza è più basso per via dei contaminanti neurotossici) la scuola deve dare una risposta. Se prima abbiamo portato i ragazzi a visitare l’ILVA, è bene adesso portarli a visitare l’Europa, lì dove sono state fatte le ecoriconversioni. Dobbiamo offrire ai nostri ragazzi, lo dico da docente, l’apertura mentale e le competenze per renderli protagonisti del cambiamento.  

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