La trattativa Invitalia ArcelorMittal resta aperta, mentre i lavoratori incrociano le braccia
Sarebbe facile iniziare questo articolo definendo, ancora una volta, la settimana in corso come quella “decisiva per l’ex-Ilva”.
Una frase che negli otto anni di crisi del siderurgico pugliese è stata utilizzata più volte nella speranza che una soluzione definitiva potesse essere trovata, dal governo di turno, o nel caso di ArcelorMittal dal maggior produttore siderurgico mondiale.
Una frase però sempre disattesa con il susseguirsi di crisi che una dopo l’altra hanno afflitto Taranto ed i suoi cittadini.
Prima di tornare a parlare di cosa sta accadendo in queste ore è bene fare un breve riassunto di quest’ultima crisi iniziata poco più di un anno fa ed esattamente il 4 novembre 2019.
Dopo un primo anno di gestione, praticamente fallimentare come si è visto dal bilancio, ArcelorMittal all’entrata in vigore del Dl Crisi, che tolse ogni protezione penale per i gestori dello stabilimento, inviò la comunicazione formale ai Commissari straordinari di Ilva S.p.A. per il recesso dal contratto per l’affitto e il successivo acquisto condizionato dei rami d’azienda di Ilva S.p.A. e di alcune sue controllate.
Nella missiva ArcelorMittal chiese anche ai Commissari straordinari di assumersi la responsabilità per le operazioni e i dipendenti entro 30 giorni dalla ricezione della predetta comunicazione come previsto da contratto.
Dallo scoppio di quella bomba ne seguì un contenzioso legale pian piano stemperato e chiusosi con l’accordo del 4 marzo 2020. L’intesa venne inserita come addendum al contratto di affitto del 2018, impegnava le parti a trovare un "Accordo di investimento" che il Governo italiano dovrà rispettare entro il 30 novembre 2020, in base al quale la somma da impegnare «sarà almeno pari alle passività rimanenti di AM InvestCo rispetto al prezzo di acquisto originale di Ilva» come venne spiegato allora dalla multinazionale in una nota stampa seguita all’intesa.
L'accordo di modifica, venne precisato «è strutturato attorno a un nuovo piano industriale per Ilva, che prevede investimenti in tecnologie per la produzione di acciaio a basse emissioni di carbonio. Il cuore del nuovo piano industriale è la costruzione di una struttura DRI che deve essere finanziata e gestita da investitori terzi e un forno elettrico che sarà costruito da AM InvestCo».Inoltre venne stipulato un accordo di transazione separato in base al quale AM InvestCo revocò la notifica di recesso dall'accordo originale e i Commissari di Ilva ritirarono la richiesta di ingiunzione, che doveva essere ascoltata in tribunale civile di Milano il 6 marzo 2020.
Sin da subito venne specificato che, «nel caso in cui il contratto di investimento non venga eseguito entro il 30 novembre 2020, AM InvestCo ha un diritto di recesso, soggetto a un pagamento concordato (la somma di cui si era parlato era di 500 milioni di euro; ndr)».
Un'estate di transizione
L’idea al momento di fissare la scadenza a fine novembre fu legata al fatto che i negoziati potessero partire sin dalla settimana successiva all'accordo, un’idea che però non aveva fatto i conti con il cigno nero Covid.
Il lungo periodo di lockdown, sembrò bloccare le trattative, almeno in forma ufficiale, mentre coinvolse pesantemente il personale con l’attivazione di ammortizzatori sociali per l’interno personale, e una produzione ridotta ai minimi termini. Per ritrovare notizie sulla ripartenza del confronto si dovette aspettare l’8 maggio, anche se ancora una volta tutto venne portato avanti in sordina, con notizie frammentarie legate soprattutto alle incertezze del Covid, con il Goveno che valutava il possibile innalzamento della penale di uscita a un miliardo di euro e la multinazionale che sembrava nuovamente valutare i tempi per l’abbandono. Si arriva così al 5 giugno data in cui ArcelorMittal presenta a Governo e sindacati il nuovo piano industriale, bocciato su tutta la linea da entrambi gli interlocutori. Nel piano infatti si parla di un’Ilva vincolata ad una produzione da 6,5 milioni di tonnellate entro il 2025, ma con massicce riduzioni temporanee di organico nei cinque anni necessari per il rilancio. Anni difficili dal momento che l’Ebitda è atteso negativo fino al 2022. Dopo numerose dichiarazione di valutazione, e qualche boutade su un possibile ricorso ad un partner diverso da Mittal il 28 luglio si annunciò che la trattativa sarebbe ripresa a settembre. Settembre in cui si riprese con l’apertura della due diligence per l’aggiornamento della valutazione degli impianti, sulla quale calcolare l’entità della partecipazione statale nel siderurgico, ma con il tema del piano industriale che sembrava essere praticamente sparito dalla cronaca.
Il resto è praticamente cronaca quotidiana, con le istituzioni governative che rassicurano sul raggiungimento dell’intesa nei tempi, in primis l’ad di Invitalia Domenico Arcuri, ma senza che ad oggi 24 novembre 2020 ci sia alcun documento ufficiale sull’intesa, che tra l’altro dovrà anche essere vagliata dalle parti sociali per potersi considerare definitiva. Tutti gli incontri degli ultimi mesi al Ministero dello Sviluppo Economico sono stati definiti interlocutori, e anche ArcelorMittal che non dedica più spazio agli asset italiani nel report sui nove mesi del 2020.
Insomma sebbene sicuramente la questione covid abbia influito, arrivare a sei giorni dalla scadenza senza intese non fa ben sperare, a maggior ragione se alla luce dei movimenti registrati ArcelorMittal e asset ex Ilva pare opereranno sul mercato come due entità separate, sebbene l’ad di Invitalia abbia assicurato che lo stato ci sarà e con una quota non di minoranza.
Torniamo quindi all’oggi, o meglio a domani 25 novembre, con i sindacati che hanno proclamato 2 ore di sciopero ed una conferenza stampa per testimoniare tutta la propria frustrazione, sia per l’incertezza, sia per il modus operandi del governo basato sul mancato coinvolgimento delle maestranze nella stesura dell’intesa.
Intesa di cui si sa ancora molto poco se non per qualche indiscrezione stampa non confermata, con Invitalia che rileverebbe il 50% del capitale sociale con circa 400 milioni di euro, al momento la discussione aperta sarebbe relativa alla governance della Newco.
Temi tutt’ora sul piatto pare mai chiariti del tutto nel corso degli ultimi vertici tenuti con i lavoratori sempre più preoccupati per il futuro.
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