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Il dissalatore e le lezioni del fiume Tara

Taranto: non sfruttarla più

Taranto ha dato troppo. Il dissalatore sul Tara sarebbe l’ultimo tassello di un vecchio puzzle di rapina, e non la tessera necessaria di un nuovo piano di rinascita e riscatto. L’Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente ha evidenziato ben 30 lacune e criticità.
10 febbraio 2025
Marco Dalbosco (Dirigente scolastico Liceo "Galileo Ferraris" Taranto)

A quanto pare Taras, mitico fondatore della Città, ha ancora molto da insegnarci, dalle rive del fiume su cui dapprima approdò e infine sparì. Il fiume Tara, corso d’acqua perenne, carsico, tre chilometri in tutto, che un tempo cantava tra canneti e pinete e oggi serpeggia tra terminal e strade in vista di AGIP e Ilva; Tara è ancor bello e prezioso, e in estate vi si fa ancora il bagno. A lui punta oggi il progetto di Acquedotto Pugliese per sfruttarne la portata con un finanziamento di 70 milioni di euro a valere sul Fondo di sviluppo e coesione, grazie ad un accordo tra Governo e Regione. Il dissalatore a Taranto

Si tratterebbe d’un impianto di dissalazione, a scopi civili, capace di rifornire d’acqua potabile una popolazione di quasi quattrocentomila persone. Lì per lì verrebbe da dire “Non male, in tempi di siccità crescente”… Inoltre, sarebbe il più grande dissalatore italiano, superando di 7 volte il più grande attuale che deriva solo 500 metri cubi all’ora; mentre “il nostro” ne capterebbe più di 3500 (circa 1 metro cubo al secondo, un terzo della sua portata).

Ma perché proprio sul Tara? La risposta è semplice. Alimentato da più bocche sorgive, breve, è di fatto un canale a marea di acque debolmente salate, salmastre: la concentrazione salina è di soli 2-3 grammi al litro, dieci volte meno dell’acqua marina. Quindi dissalarne le acque è vantaggioso in termini sia economici che energetici: perché allora non sfruttare questa copiosa risorsa a portata di mano? E qui iniziano le lezioni di Tara.

1) Mai più interventi grezzi sul territorio. Il verbale della 4a seduta di conferenza di servizi decisoria dello scorso 19 dicembre mostra il carattere grezzo, approssimativo del nuovo intervento proposto (Tara è oggetto già da decenni di altro prelievo da Acque del Sud). La Soprintendenza Nazionale per il Patrimonio Culturale Subacqueo di Taranto ha espresso parere negativo e l’Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente ha evidenziato ben 30 lacune e criticità! Si va dalle incertezze sull’impatto dei cantieri alle interferenze con i Parchi Naturali Regionali della Terra delle Gravine e del Mar Piccolo; dalla mancanza di analisi dello stato ecologico del fiume Tara a monte e a valle delle opere di captazione alla possibile incoerenza con la Rete Ecologica Regionale Biodiversità; la portata d’acqua derivata non manterrebbe al Tara lo stato di “buono” stabilita dal Piano di Gestione delle Acque, e via dicendo. In sintesi, il dissalatore è come un elefante calato in una cristalliera, dove “calato” esprime anche il mancato coinvolgimento della comunità locale, che ora rivendica il diritto di esprimersi sul “suo” fiume tutelare.

2) Taranto: non sfruttarla più. Nel 1959 Pierpaolo Pasolini scriveva estasiato di “Taranto, che sui suoi due mari scintilla come un gigantesco diamante in frantumi”, aggiungendo “Una città perfetta. Viverci è come vivere all’interno di una conchiglia, di un’ostrica aperta”. Ma in pochi anni l’ostrica fu sventrata, violentato il territorio con forme di industrializzazione che allora sembravano solo benefiche e oggi non ci appartengono più. Né nostalgici né vittimisti: ma basta uno sguardo dall’alto del nostro territorio, anche se non se ne avesse conoscenza storica, per gridare con ragione e non per egoismo: Taranto ha dato troppo e non può più essere sfruttata! Il dissalatore sul Tara, oltre tutto pensato a beneficio del leccese, sarebbe l’ultimo tassello di un vecchio puzzle di rapina, e non la tessera necessaria di un nuovo piano di rinascita e riscatto. 

3) Proteggi ed esalta quanto resta della tua natura. Al passato non si torna, ma perché non amare, proteggere ed esaltare ogni lembo di quanto resta della nostra natura? Ciò vale tanto per gli aspetti strettamente naturalistici, e sono molti e rari (le due perle del Mar Piccolo non hanno pari nel nostro Paese) che per quelli culturali, storici e spirituali connessi al patrimonio territoriale. Non certo con mente angusta, ma tornando al grande motto ambientalista “pensa globalmente, agisci localmente”. Ovunque gli ecosistemi non reggono più un impatto antropico esagerato, che li scardina; in questo quadro globale, ogni intervento locale deve davvero rispettare, e non a chiacchiere, il dettato della Costituzione, da pochi anni modificata così: “La Repubblica tutela l'ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell'interesse delle future generazioni.” (art. 9). 

4) Occorre un disegno organico per l’ambiente. Stanno emergendo i pezzi d’un nuovo entusiasmante disegno organico di tutela e valorizzazione del nostro ambiente. Si propone un “Parco dei fiumi carsici”. E’ di pochi giorni fa l’idea di istituire il Museo di Scienze Naturali (MUSNA) presso il 65simo Deposito sul Mar Piccolo, a presidio culturale e ambientale di quel nostro grande gioiello. Un progetto di valorizzazione della Salina Grande, commissionato anni fa dal Comune, ancor dorme. La Legge 10/2013 favorisce la creazione di “cinture verdi” intorno alle città, la coperture a verde degli edifici e la trasformazione dei lastricati solari in giardini pensili: dopo 12 anni è ancora lettera morta. E possiamo pensare ad un grande santuario marino dei cetacei, sull’esempio di quello ligure… Occorre soltanto attivarsi, con forza e coerenza. 

5) I dissalatori servono: produciamoli. Quanto ai dissalatori, essi occorrono. Purtroppo il cambiamento climatico globale è ormai in corso al di là di ogni ragionevole dubbio: il deficit di acqua dolce per uso irriguo, industriale o civile, è già una realtà. Il Tarantino e la Puglia, così ricchi di coste, dovranno pure programmare in modo organico il fabbisogno e la corretta dislocazione dei dissalatori necessari. E, dato che anche in questo modo realizzeremo un futuro sostenibile, perché non metterci all’avanguardia e produrli proprio a Taranto, magari erodendo qualche spazio dismesso dell’Ilva?  La sostenibilità, se si è accorti, produce molti posti di lavoro.

5 gennaio 2025 

Marco Dalbosco

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