Ricordo il giorno in cui mi recai in Procura da Franco Sebastio. Era il 27 febbraio 2008, una giornata di sole. Avevo nella borsa le analisi della diossina. Con me saliva per le scale Piero. Lui, ex operaio Ilva, era quello che ci aveva procurato il pecorino. Piero aveva lavorato nell’impianto dove usciva diossina e polvere rossa. Aveva calpestato ogni giorno quel borotalco rosa finissimo che non riusciva a togliersi di dosso nemmeno con due docce, una all’Ilva a fine turno e una a casa, appena arrivato. La parola diossina non era mai stata pronunciata in fabbrica.
Un insegnante di Italiano e un ex operaio dell’Ilva a caccia di pecore e capre che erano vissute attorno all'Ilva. Il loro pastore si era ammalato di cancro al cervello, e da lì a poco sarebbe morto. La nostra storia è cominciata così ed è proseguita salendo le scale del Tribunale. Quel pecorino analizzato risultava contaminato da diossina (e anche PCB) oltre i limiti di legge.
Il Procuratore ci fece capire che non bastava consegnare le analisi. Occorreva scrivere qualcosa.
“Che dobbiamo scrivere?”, chiedemmo a Sebastio.
Alla nostra domanda il Procuratore Franco Sebastio fu sbrigativo: “Scrivete… scrivete… Non scrivete un romanzo, giusto una paginetta per dire cosa state consegnando”.
Dopo qualche settimana scattarono i primi controlli sulle masserie. E poi partirono le indagini vere e proprie della Procura per rintracciare l'autore dell’inquinamento.