DENUNCIA E CONTESTUALE RICHIESTA DI PROVVEDIMENTI CAUTELARI

Alla PROCURA DELLA REPUBBLICA
presso il TRIBUNALE di ROMA
5 aprile 2003
Forum Socia-le Europeo
Fonte: I sottoscritti tutti appartenenti ad organizzazioni aderenti al Forum Socia-le Europeo o comunque cittadini italiani

A) E’ noto da notizie di stampa e da dichiarazioni di membri del Parla-mento che nei giorni 12, 13 e 14.02.2003 il Ministro della Difesa, On. Prof. Antonio Martino, ha inviato delle lettere indirizzate ai Presidenti delle Commissioni difesa di Camera e Senato, comunicando che il gover-no aveva concesso, su richiesta dell’amministrazione federale degli Stati Uniti, l’utilizzo delle infrastrutture italiane (porti, aeroporti, strade ferrovie ecc.) per consentire il transito di uomini e materiali da utilizzare per la guerra contro l’Iraq.

A seguito della risposta a una specifica richiesta di un Parlamentare, si è appreso che in realtà non vi era stata alcuna richiesta formale da parte dell’amministrazione U.S.A., ma solo una richiesta verbale da parte dell’ambasciatore statunitense (fonte: On. Elettra Deiana, PRC).
In ogni caso, l’opinione pubblica è venuta a conoscenza (ad oggi si conosce anche l’uso di porti e di aeroporti) che almeno 26 convogli U.S.A. carichi di armamenti e blindati stavano venendo movimentati nei giorni scorsi, utilizzando infrastrutture viarie e ferroviarie italiane, dalla base di Ederle (Vicenza) a quella di Camp Darby (Pisa), per essere imbarcati nel porto di Livorno con direzione Turchia, al fine di essere impiegati nelle operazioni belliche unilateralmente programmate e decise da Stati Uniti e Inghilterra contro l’Iraq.

B) Per affermare la legittimità dell’autorizzazione concessa agli Stati Uniti di utilizzare il territorio e le infrastrutture italiane, al di fuori e in contrasto con le previsioni del Trattato NATO, della Convenzione di Londra del 1951, del Protocollo di Parigi del 1952 e dell’Accordo di Parigi del 1962, il governo italiano ha ripetutamente fatto genericamente riferimento, anche in risposte ufficiali a richieste di Parlamentari, agli obblighi internazionali derivanti all’Italia dall’appartenenza alla NATO.

Tuttavia, questa argomentazione appare palesemente menzognera e giuri-dicamente insostenibile, e la decisione assunta dal governo – volutamente tagliando fuori da ogni possibilità di decisione il Parlamento della Repubblica Italiana – una lesione gravissima della Costituzione e delle prerogative del fondamentale organo istituzionale.
A tale proposito, vale la pena di porre in evidenza, per la loro rilevanza giuridica, i seguenti punti:

- Come è noto non vi è ad oggi alcuna risoluzione del Consiglio di Sicurezza ONU per l’Iraq che autorizzi esplicitamente o implicita-mente alcun Stato all’uso della forza, sia individualmente che per il tramite di organizzazioni internazionali (la risoluzione 8 novembre 2002 contiene anzi una clausola, espressamente voluta da Francia, Russia e Cina, che rimanda alla valutazione del Consiglio ogni decisione sulla sanzione di eventuali violazioni degli impegni assunti dall’Iraq, escludendo il ricorso automatico alla forza).

- La mancanza di una risoluzione dell’ONU che autorizzi all’uso della forza contro l’Iraq non può essere superata facendo riferi-mento al Trattato NATO.
Esso indica, infatti, quale finalità principale quella di assicurare il mantenimento della pace e della sicurezza degli Stati membri attra-verso la costituzione di un sistema di sicurezza che operi in via sussidiaria rispetto a quello della Carta ONU, e nei limiti in cui ciò è consentito dalla stessa. Infatti l’art. 5 del Trattato richiama espressamente l’art. 51 della Carta.

Rispetto ad esso, la NATO si presenta quale organizzazione tesa a predisporre unicamente i mezzi per l’esercizio all’autodifesa collet-tiva contro l’aggressione. Il secondo paragrafo dell’art. 5 conferma questa conclusione, prescrivendo che le misure di auto-difesa collettiva dovranno essere portate a conoscenza del Con-siglio di sicurezza e cessare, ai sensi dell’art. 51 della Carta, allor-ché il Consiglio abbia preso le misure necessarie per il ristabili-mento della pace.

Il Trattato prevede inoltre, all’art. 7, la prevalenza della Carta delle Nazioni Unite mediante una clausola generale di compatibilità rispetto agli obblighi stabiliti dalla Carta e il richiamo al ruolo del Consiglio di Sicurezza quale principale responsabile del man-tenimento della pace e della sicurezza: “This Treaty does not affect, and shall not be interpreted as affecting in any way the rights and obligations under the Charter of the Parties which are members of the United Nations, or the primary responsability of the Security Council for the maintenance of international peace and security.

Gli accordi relativi al “nuovo concetto strategico” del ’91 e del ’99 non hanno intaccato questo assetto fondamentale, ribadendo il ruolo prevalente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite pur nel tentativo di trasformare la NATO da patto di difesa militare a organizzazione regionale pronta a svolgere un ruolo per il mantenimento della pace, prendendo in considerazione eventuali richieste di assistenza di organi delle N.U. nell’attuazione di risoluzioni del Consiglio di Sicurezza.

- Né il governo italiano può fare riferimento al contenuto di accordi in forma semplificata mediante i quali avrebbe assunto obblighi di cooperazione ulteriori rispetto al Trattato istitutivo della NATO.
A parte il fatto che qui siamo di fronte non a una decisione del Consiglio Atlantico ma a una richiesta “informale” di uno dei paesi alleati, comunque per l’assunzione di obblighi aggiuntivi non basta il meccanismo di adattamento dell’ordine di esecuzione predisposto nei confronti del Trattato istitutivo dal punto di vista del diritto interno, ma occorre una pronuncia del Parlamento sotto la forma di legge, ancorché riunito ai sensi del II co. dell’art.64 Cost.;

- L’intervento militare degli Stati Uniti contro l’Iraq presenta in ogni caso tutte le connotazioni di una guerra di aggressione, essendo portato oltretutto contro uno Stato sovrano per motivazioni pura-mente economiche; molti, inoltre, sono gli Stati, anche in Oriente, che posseggono armi di distruzione di massa, che violano risoluzioni dell’ONU, che sono retti da regimi illiberali o dittato-riali, che violano i diritti dell’uomo universalmente riconosciuti (Israele, India, Pakistan, Corea del Nord, Siria, Arabia Saudita, Emirati Arabi, Libia, Turchia, ecc. ecc.), e comunque neppure l’attribuzione di tali caratteristiche al regime iracheno vale a giusti-ficare per il diritto internazionale quella che la propaganda bellica americana definisce “guerra preventiva”, sempre che ormai per “diritto internazionale” non si intenda unicamente la volontà e gli interessi del più forte imposti con la violenza;

- Nessuna mistificazione terminologica, infine, è possibile nel caso dell’aggressione all’Iraq: lo stesso governo federale U.S.A., infatti, parla espressamente di “guerra preventiva” e senza la decisione espressa dell’ONU non si può neppure tentare di parlare di operazione di “polizia internazionale”, né di operazione di “peace keeping”, come è stato fatto per l’intervento in Serbia o in Afghanistan, ma solo di guerra di aggressione vera e propria;

C) Ogni impegno internazionale (aspetto in ultimo affrontato ma certa-mente dirimente di ogni questione in quanto costituisce in ogni caso l’im-prescindibile limite a qualsiasi volontà ed attività dello Stato Italiano, dei suoi organi e di qualsiasi cittadino) che potrebbe essere stato assunto dal-l’Italia trova comunque il suo limite nei principi fondamentali posti dalla Costituzione all’art. 11: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”.

E’ chiaro quindi che unicamente una modifica espressa ed esplicita di tale netta e non aggirabile disposizione, effettuata con le procedure consentite, potrebbe consentire all’Italia di appoggiare l’avventura bellica statunitense contro l’Iraq concedendo territorio, infrastrutture e uomini.

Anche l’utilizzo delle basi NATO in Italia a questo fine travalica comple-tamente gli scopi del Trattato di Washington e non solo non è consentito, ma deve essere impedito.

Va ricordato infatti che nessun trattato o accordo può legittimamente obbligare il nostro paese all’intervento bellico di aggressione o a conce-dere a soggetti terzi l’uso di basi, installazioni militari o quant’altro sul nostro territorio con questa finalizzazione senza prima modificare l’art.11 succitato (se ciò fosse comunque ritenuto possibile) e senza che prima si esprima in tal senso il Parlamento, anche con il procedimento di cui all’art.64, II co. Cost., sostanziandosi altrimenti il tutto in una gravissima violazione anche dell’art.78 Cost. nonché delle norme che regolano le modifiche al dettato costituzionale.

C1) Evidentemente, inoltre, il Governo non ha applicato, per le motivazioni addotte, quanto previsto dalla legge n.185/1990 ritenendo evidentemente applicabile il disposto di cui all’art.1, comma IX, lett.b) e c) della stessa legge.
Quanto in precedenza esposto induce a ritenere anche questi denuncianti d’accordo su tale fatto.
Le motivazioni, però, sono totalmente diverse.
Ritengono, infatti, che al caso di specie non possa applicarsi la previsione di cui all’art.1, comma IX, lett.b) e c) della stessa legge in quanto nessun accordo internazione può essere stipulato con norme che prevedono una violazione del dettato costituzionale; inoltre nel caso di specie non risulta che alcun trattato approvato dal Parlamento preveda una, comunque illegittima, possibilità o previsione di transito di materiali e di armamento anche per una “guerra di aggressione” come quella che gli U.S.A. e la Inghilterra stanno dichiaratamente apprestando.

In realtà la vera ragione per la quale la legge citata non può trovare applicazione e che i trasporti o transiti in questione sono in aperto e di-chiarato contrasto con il divieto espresso nell’art.11, I co. Cost. e richia-mato al I comma dell’art.1 cit., nonché i divieti di esportazione e transito di materiali di armamento indicati all’art. 1, commi 5°, 6° e 7° .

Ma, anche se ciò non fosse, essendo tali trasporti palesemente estranei al trattato N.A.T.O. (la richiesta è giunta infatti dall’ambasciatore U.S.A.), ci si troverebbe in una situazione in cui manca ogni impegno di utilizzo di tali armamenti in modi conformi alla Carta dell’O.N.U. e alla nostra Costituzione; fatto questo che già imporrebbe per pacifica giuri-sprudenza costituzionale l’impossibilità di concedere lo stazionamento e il transito agli stessi nel territorio della Nazione (Nel caso di specie, poi, è invece pacifico e ammesso addirittura esplicitamente l’uso di tali arma-menti per la guerra illecita contro l’Iraq, e il loro transito a tal fine).
Inoltre, ciò avviene in modo assolutamente illegittimo anche sotto il pro-filo di “perdita della sovranità” che si concretizza nella rinuncia contra legem del dovere di applicare nel nostro territorio le leggi dello Stato e la Costituzione, a vantaggio di altro Stato.

D) A parere dei denuncianti, il comportamento dei membri del governo italiano consistente nel concedere agli Stati Uniti l’autorizzazione all’uso di territorio e infrastrutture italiane per il deposito, transito e esportazione di materiale d’armamento finalizzato ad essere impiegato in una guerra di aggressione contro l’Iraq, nonché nel dispiegare e utilizzare risorse, eser-cito e forze di polizia per scortare tali convogli e per vincere illecitamente la resistenza dei cittadini italiani che difendono la Costituzione e legit-timamente si oppongono al loro transito, violando consapevolmente da una parte le chiare delimitazioni imposte dai principi enunciati dall’art. 11 Cost. ai rapporti internazionali dell’Italia, dall’altra stracciando la fun-zione di garanzia del Parlamento prevista dall’art. 78 Cost. col limitarsi a mettere al corrente le Camere di una decisione governativa già operativa (nonostante sia stato chiesto ripetutamente dall’opposizione – e non solo - il voto parlamentare sulla questione in oggetto) integra perlomeno i reati di cui agli artt. 241 e 283 c.p..

Per quanto concerne la prima fattispecie, reato di pericolo, appare chiaro, come ricordato dalla giurisprudenza, che essa si concreta “nelle sue con-dizioni necessarie e sufficienti, quando il fatto commesso dall’agente per la sua natura, le sue caratteristiche, la sua sintomaticità, sia espressione di un tale agire (non inidoneo) da potersi considerare, alla stregua dei canoni della logica valutativa delle azioni umane, come iniziazione d’opera ideata, messa in esecuzione di concepito progetto, passaggio dalla fase preparatoria alla fase esecutiva di efficiente programma avente per obbiettivo ultimo il risultato della sottoposizione del territorio dello Stato o di una parte di esso alla sovranità di Stato straniero.” (Cass. Pen. Sez. Unite, 18.3.1970, n.1).

L’oggetto della tutela penale apprestata dalla seconda norma sopra richiamata, ovvero l’interesse concernente la personalità interna dello Stato di garantire la legittimità dell’evoluzione costituzionale contro mutamenti che per i modi e i mezzi impiegati siano avulsi dai meccanismi di revisione ammessi dall’ordinamento democratico, è offeso, secondo dottrina e giurisprudenza prevalenti, anche quando il mutamento venga perseguito attraverso mezzi non violenti, ma comunque non consentiti dall’ordinamento costituzionale, dovendosi giudicare l’illiceità dell’uso dei mezzi unicamente in funzione della loro idoneità a mutare la Costituzione (naturalmente l’impiego delle forze dell’ordine e dei militari per ottenere con la forza il passaggio dei cd. “treni della morte”, propugnato nei termini più brutali dal Vice-Presidente del Consiglio On. Fini, non si può certo definire mezzo “non-violento” per portare il reato alle sue estreme conseguenze).

Non si ignora e appare, infatti, di tutta evidenza come si parli continua-mente di una Costituzione “materiale”, costituita dalla pratica attuazione delle norme costituzionali, che si differenzia dalla c.d. Costituzione “formale”.
Ma appare parimenti di tutta evidenza che le decisioni assunte da membri del Governo e i comportamenti derivanti travalicano la possibilità di inse-rirsi solo nella c.d. Costituzione “materiale” e giungano a violare plateal-mente principi, le norme e le competenze espresse in quella “formale”, mutando gli stessi in modo sostanziale.

Ciò è avvenuto ora con un provvedimento di natura amministrativa, che non è dato neppure inoltre conoscere nel suo contenuto (verbalmente esponenti del Governo Italiano pare abbiano fatto riferimento a obblighi internazioni pregressi assunti nel quadro NATO o con gli Stati Uniti, affermando in tal modo anche la violazione del disposto di cui all’art.64 della Cost.; tali obblighi “segreti”, infatti, non risultano neppure portati alla decisione del Parlamento con la procedura speciale ivi prevista), ma si è sostenuto anche che tra i mezzi “arbitrari” è annoverabile persino il ricorso alla legge ordinaria che serva per innovare materie la cui modifica esigerebbe l’applicazione della procedura “rafforzata” (come sarebbe avvenuto nel caso in cui tali trattati o obblighi fossero stati portati alle Camere ex art.64 Cost. senza una previa modifica degli artt.11 e 78 Cost.).

E) Per quanto riguarda l’elemento soggettivo, sia il delitto di cui all’art. 283 c.p. che quello di cui all’art.241 c.p. sono considerati dalla dottrina e giurisprudenza prevalente reati a dolo generico, come tutti i delitti di attentato.
Il dolo nei reati in questione consiste nella coscienza e volontà di com-piere un’azione idonea a ledere il bene giuridico protetto dalla norma (l’evoluzione della Costituzione formale nel rispetto dell’ordinamento delineato dalla stessa Carta fondamentale e dalle leggi costituzionali, la sovranità dello Stato italiano rispetto a limitazioni non consentite dalla Carta costituzionale), tenuto conto che l’interpretazione più garantista e conforme al principio di offensività dei delitti di attentato ne ricostruisce la fattispecie oggettiva quale norma di pericolo concreto (atto idoneo a ledere è cioè l’atto che ha la probabilità o rilevante possibilità di tra-mutarsi in danno).
E’ stato notato che chi definisce “specifico” il dolo dell’attentato viene ingannato dalla particolare struttura di queste fattispecie, che mette in evidenza la divergenza tra forma e intenzione: “senonché qui la realizzazione dello scopo fissato dalla legge, in vista del quale l’agente compie l’azione, trova perfetto riscontro sul piano della fattispecie obiettiva giacché è lo stesso risultato cui tende la condotta, verso cui, cioè, è proiettato tutto il fatto attentante” (Digesto pen., I, 355, UTET).
Già in passato, infatti, si è sottolineato che il dolo specifico “è costituito dallo scopo o fine ulteriore per cui l’agente ha voluto l’evento dannoso o pericoloso, mentre nei delitti di attentato si richiede che la volontà sia diretta proprio alla produzione dell’evento che costituisce offesa del bene alla cui protezione è posta la norma”.
Sembra dunque indubbio che nelle più alte cariche dell’Esecutivo non possa far difetto la conoscenza delle norme costituzionali e delle pro-cedure legittimamente previste per la loro revisione, al cui rispetto sono state ripetutamente sollecitate dall’opposizione parlamentare e dal-l’opinione pubblica di tutto il Paese e che invece hanno scelto deli-beratamente di ignorare con le forme più umilianti per la dignità del Parlamento e del popolo italiano.
Allo stesso modo non è pensabile che esse possano sostenere di ignorare i chiari confini costituzionali posti alle limitazioni di sovranità dello Stato italiano, e che manchi dunque la coscienza e la volontà di concedere agli Stati Uniti di menomare l’indipendenza dell’Italia e la sovranità dello Stato sul proprio territorio per scopi non consentiti dalla Costituzione, rendendoci di fatto un Paese occupato.
Le considerazioni svolte nei precedenti paragrafi portano comunque ad affermare che anche se si interpretano le due fattispecie come reati a dolo specifico, la “finalizzazione psicologica ulteriore” del comportamento illegittimo appare sussistere nel caso di specie.

Infine si deve ricordare che addirittura la Corte di Cassazione (sent. 26.03.1986, in GI, 1988, II, 83) ha asserito che “ogni attentato ad organismi, enti o istituzioni, titolari dei rapporti civili, sociali ed economici che la Costituzione particolarmente riconosce e garantisce, finalizzato ad offenderne l’integrità, per ridurne o eliminarne la funzionalità istituzionale e quindi a sovvertire il sistema di cui quelli sono elementi strutturali è atto idoneo a ledere l’interesse all’ordinato svolgimento dei rapporti di cui quegli enti sono titolari e responsabili e di concerto ad attentare all’ordinamento costituzionale”.

F) Poiché un tale vulnus del nostro ordinamento costituzionale, se lasciato privo di sanzione, è facilmente immaginabile quale foriero di gravissime conseguenze sul piano internazionale e sul piano interno, e considerato che lo stazionamento e il trasnsito di tali armamenti è tutt’ora in corso, appare opportuno richiedere alla S.V. di disporre con urgenza il sequestro – ai sensi degli artt. 235 e 253 c.p.p. – dei convogli di materiale bellico, delle armi anche personali dei soldati o dei soggetti in transito nonché dei mezzi usati a tal fine

A tale scopo si deve rilevare che, come si è appreso dalle notizie di stampa, la base di Camp Derby, vicino a Pisa, e l’aeroporto di Fiumicino nonché i porti di Napoli, La Spezia e Livorno, dovrebbero costituire i luoghi più rilevanti per tali stazionamenti e transiti.

Per quanto sopra esposto, si sporge formale

DENUNCIA

alla S.V. nei confronti del Ministro della Difesa, On. Prof. Antonio Mar-tino, e degli ulteriori membri del Governo o degli altri soggetti, allo stato ignoti, che hanno partecipato alle attività integranti i reati di cui agli artt.241 e 283 c.p., e per quelli ulteriori o diversi che la S.V. potrà ravvi-sare nei fatti sommariamente sopra esposti o che potranno emergere dalla attività di indagine.
Si chiede di essere informati della eventuale richiesta di rinvio del termine delle indagini preliminari nonché della eventuale richiesta di archiviazione, ai sensi dell’art. 408, 2° comma c.p.p..

Si nomina proprio difensore l’avv. Giorgio Bonamassa, del Foro di Milano, presso il cui studio di Milano, via Visconti Venosta, 2, si elegge domicilio, autorizzandolo a depositare, personalmente o a mezzo di soggetto da lui indicato, la presente denuncia.

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