Il Piave mormorava
Oggi è il 15 febbraio 2018. Sono a scuola e ho dato ai miei studenti un tema dal titolo brevissimo: “Racconta”. Mentre loro scrivono, anche io faccio come loro: scrivo.
Racconterò di mio padre, del suo compleanno e di un dettaglio della sua vita che non voglio perdere.
Tutti i papà hanno il loro fischio speciale, il loro richiamo speciale. Il loro modo di bussare, il loro modo di camminare. Il loro marchio sulla nostra vita. Crediamo di dimenticarcene, ma poi, nel buio, sentiamo un trillare di note e il nostro cuore si sente sollevato. E abbiamo di nuovo cinque anni: stiamo aspettando di udire i passi di papà. Pam Brown
Oggi mio padre avrebbe compiuto 97 anni.
L’anno scorso lo festeggiammo in allegria, con lui, nella cucina, in quella cucina che ci ha visto assieme per tanti anni. Portammo le pizze a casa e lui sembrò ringiovanire. Fu di un’allegria contagiosa, ma noi sapevamo che sarebbe stato l’ultimo compleanno con lui. Ma lui seppe trasformare quel momento in felicità allo stato puro.
Papà ormai non si alzava più, dovevamo accudirlo, non era autonomo. Ma sapeva sdrammatizzare le difficoltà.
La sua qualità era proprio questa: sdrammatizzare. Cogliere il lato felice della vita. Mai una venatura di pessimismo.
Quella sera del suo novantaseiesimo compleanno eravamo tutti davanti alla sua poltrona: la mamma, Marinella, Giancarlo, Daniele, Maria Teresa.
Oggi non so come ricorderemo il compleanno di papà, non ne ho un’idea. Marinella ha fatto una donazione alla Casa di Anita, a Nairobi, la struttura che accoglie le bambine di strada creata da padre Kizito, il missionario comboniano con la barbona bianca e gli occhi luccicanti che papà aveva conosciuto venti anni fa. Da allora papà, non credente, ha sempre avuto un rapporto affettuoso con i missionari comboniani, tanto che li andammo a trovare a Bari, mangiando con loro. “Se rinasco mi faccio comboniano”, scherzava, e gli piaceva ricordare il modo comunitario con cui condividevano la mensa, pescando tutti dallo stesse pentolone.
Oggi non so come ricorderemo papà. Lo voglio ricordare con il suo modo di fischiettare.
Aveva due canzoni preferite, una romantica e una patriottica, che alternava a seconda dei momenti. “Parlami d’amore Mariù” era la canzone romantica della domenica, mentre si radeva la barba. Ma quando era ottimista e pieno di speranza ecco che fischiettava “Il Piave mormorava”, nonostante non fosse un amante delle canzoni di questo genere. Ma quando il Piave mormorava sapevamo, io e Marinella, che saremmo andati alla villa Peripato, o al mare, o in qualche bel posto. Sapevamo che avremmo messo i pattini per andare sul lungomare di Taranto, attenti sempre a non cadere. Rotelline marroni sul marciapiede grigio, con qualche mattonella sconnessa in agguato.
Lo specchio della sua anima era nel suo modo spensierato di fischiare e in quel momento noi non avevamo bisogno di chiedere a papà se fosse felice, perché lo era. E capivamo anche la sfumatura della sua felicità. E anche noi eravamo felici, perché papà sapeva trasferirci un senso sereno e semplice della vita. La sua domenica non era in chiesa ma con la mamma e con noi, i suoi bambini, sui pattini, o con il salvagente, o sulla barca a vela azzurra e blu, quel dinghy di legno comprato di seconda mano.
Oggi non so come ricorderemo papà, ma lui ci ricorda che è qui con noi, in questi piccoli ricordi e nel senso positivo, mai malinconico, della vita, quel senso positivo che ha saputo trasmettere alla mamma, a Marinella e forse anche a me.
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