Buon compleanno Luciano
Luciano, mio padre, è nato il 15 febbraio 1921, in una Romagna fervente di passioni e di lotte. Cittadino semplice ma attento e desideroso di conoscere, è stato per me un padre sempre presente e partecipe. Ha lasciato un'impronta indelebile nella storia della sua famiglia. Ma anche della sua comunità. Partecipare alla Resistenza al nazifascismo durante gli anni bui della Seconda Guerra Mondiale è stato solo l'inizio del suo percorso.
L'idea di una società più giusta era al centro della sua ricerca di uomo.
Fu idealmente e materialmente accanto a coloro che desideravano un cambiamento sociale. Amava i principi scritti nella Costituzione italiana. Ha avuto sempre dentro di sé un ideale di libertà e giustizia che lo portava a esplorare nuove idee. E così il suo impegno non si è fermato con la Resistenza. Ha continuato a battersi per i valori di libertà e giustizia anche dopo.
Incontrare Loris, un intellettuale che sarebbe diventato docente universitario di filosofia, è stato un momento decisivo nella vita di Luciano. Loris ha riconosciuto la sete di conoscenza che animava mio padre, e insieme hanno condiviso il sogno di un mondo migliore. Non solo gli ha insegnato la storia e la filosofia, ma gli ha anche fornito la guida e il sostegno necessari per una trasformazione profonda di sé. A partire dalla conquista della cultura e soprattutto della padronanza di uno strumento importantissimo: la lingua. Questioni su cui don Lorenzo Milani avrebbe poi costruito tutto il suo impegno educativo.
Mio padre infatti ha partecipato alla Resistenza parlando in dialetto romagnolo, come quasi tutti i suoi compagni di lotta. Mia nonna parlava solo in dialetto. Tutta la sua famiglia di contadini (i Bertuzzi) viveva nella cultura e nella secolare lingua della Romagna, fatta di profonda conoscenza delle sfumature del mondo agricolo. Le persone erano imbevute dei proverbi e delle storie che alimentavano la cultura popolare. Il dialetto era fonte di saggezza e di gusto per la vita. Anche da parte della famiglia di mio nonno (i Marescotti) il dialetto era la lingua del quotidiano, ma c'era qualche eccezione. Si notava l'orgoglio per uno zio che parlava e scriveva in italiano. Ma Luciano era immerso nel dialetto e, se fossimo stati catapultati nei giorni in cui nacque, avremmo ascoltato dialetto romagnolo, un orgoglioso dialetto romagnolo.
La determinazione di Luciano nel superare le barriere linguistiche (aveva fatto le scuole elementari ma non sapeva scrivere correttamente in italiano) fu pari alla sua volontà politica nel superare le ingiustizie sociali. Grazie al suo amico Loris divenne educatore in un convitto a Rovigo, dove lavorò e studiò. Poi fece l'avviamento. E infine, a tappe forzate, prese il diploma magistrale. Fu una corsa a ostacoli, in una cultura scolastica spesso astratta e nozionistica, così distante dal suo sapere pratico costruito nell'esperienza di muratore. E alla fine ce la fece. Vinse il concorso da maestro e prese servizio a Ginosa nel 1956, in Puglia, provincia di Taranto.
Il suo percorso per diventare maestro è un esempio di come si possa cambiare la vita attraverso il possesso della lingua. Ho visto mio padre leggere tutte le parole di mezzo vocabolario Palazzi, come se fosse un libro e poi fermarsi ogni tanto e venire da noi bambini a leggerci le scoperte: le parole nuove che non conosceva. Dallo studio delle parole nel vocabolario all'apprendimento pratico accanto a Loris, Luciano ha costruito il suo carattere. Il contributo più duraturo che mi sovviene in questo momento sta in questo sua motivazione, nel suo impegno di "educatore alla curiosità", sia a scuola come maestro sia a casa come padre. Leggeva, leggeva e leggeva. Portava a casa i libri che comprava come se fossero delle buone torte da assaggiare. Curioso nell'assaporare pagine nuove, come nell'esplorare la società.
Così ha trasmesso ai suoi studenti non solo nozioni ma anche il gusto di esplorare con la cultura. Non per un'astratta erudizione ma per i valori fondamentali di giustizia sociale, uguaglianza e libertà.
Per me e per mia sorella Marinella, Luciano è stato più di un padre: è stato una guida nell'esplorazione del mondo. E sento che non sarei stato lo stesso senza di lui. La sua fiducia incrollabile nell'umanità e il suo ottimismo contagioso hanno plasmato il nostro carattere e la nostra visione del mondo. Io e mia sorella siamo cresciuti così, ottimisti come lui, e credo che mio padre fosse anche un po' preoccupato nel suo intimo nel trasmetterci questa idea positiva del mondo e degli altri, perché nel mondo c'è anche l'imponderabile presenza dell'imprevisto, della secca delusione. Di ciò che nega il senso vivere e lottare. La delusione non lo ha mai però travolto. Ricordo quando mi parlò del rapporto Krusciov nel 1956, con le rivelazioni dei crimini di Stalin. Una lacerazione enorme della coscienza.
La cosa bella che ricordo di mio padre è stato il senso di positività con cui, nonostante ogni contrarietà, ha affrontato tutta la vita, con il gusto di vivere, sorridere e fare cose nuove. Portava a casa sempre qualcosa di nuovo. Dalla macchina da scrivere, alla chitarra, al giradischi, al registratore. Ai tanti libri, di cui ho già parlato. Lui non sapeva usare la macchina da scrivere ma sapeva che noi avremmo potuto usarla per il futuro. E così è stato. “Ciascuno cresce solo se sognato”, scriveva Danilo Dolci. Luciano ci immaginava a scrivere su una tastiera e si è avverato proprio ciò che non sapeva fare. Le sue mani da muratore costruivano muri solidi, le sue dita però non erano adatte per una tastiera.
Oggi, nel giorno del suo compleanno, scrivo su una tastiera che Luciano mi ha insegnato a usare con il desiderio di imparare cose nuove.
Da muratore a maestro ha cercato una vita diversa tracciando nei suoi giorni tanti piccoli esperimenti di felicità con i suoi figli e con Fiorenza, sua moglie. La ricerca della felicità, come diritto delle persone a una vita migliore, credo fosse la sua bussola quotidiana. Penso che, se gli avessero dato un incarico pubblico, avrebbe organizzato serate di ballo per rendere più felici e meno soli gli anziani. Avrebbe inaugurato pomeriggi con presentazioni di libri. E tanti viaggi per conoscere il mondo, andando in posti lontani. Nell'ultima parte della sua vita ha infatti viaggiato tanto con Fiorenza. È arrivato a vedere anche le piramidi, persino perdendosi perché non trovava il bagno per fare una impellente pipì.
Non andava in chiesa ma la domenica la dedicava alle opere buone, cioè alla cura del verde di piazza Medaglie d'Oro, la piazza del quartiere dove ho imparato a giocare a pallone. Domeniche di volontariato sociale. La gente gli portava delle piante e lui, con la zappa, scavava le buche.
Come uomo ha dedicato la sua esistenza a rendere il mondo un posto migliore per tutti. Il suo spirito allegro e gioviale vorrei che vivesse attraverso di noi, nelle nostre azioni e negli ideali che rendono bella e appassionante la vita. E se un giorno vedete una persona che ride e che vi sembra gioviale, pensate che lì c'è la sua anima, la sua voglia di vivere e di condividere la felicità con gli altri
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