Strategia lillipuziana e coordinamento telematico
Zanotelli, Fili lillipuziani
Ritornando in Italia da Korogocho la cosa che ho notato è che subito si
respira nell'aria questo fenomeno sociale dell'"atomizzazione", dove ognuno
fa per sé, si rinchiude nel proprio buco e vive la sua vita, generando
disgregazione nella propria comunità e nella società. Direi che questo forse
è il fenomeno che più spaventa e che più ci porta alla morte, non tanto la
morte fisica, ma quella interiore propria di una società che vive in
funzione di sé stessa, che ha fatto delle cose, dei soldi, il suo idolo, il
suo dio. Non riusciamo neanche più ad esprimerci, a sentire la bellezza
dell'essere insieme, del toccarci, di un cammino comune verso una meta. Ma
l'umanità può esistere solo se la si coniuga al plurale: io ho bisogno degli
altri, ho bisogno della verità degli altri, della loro esperienza culturale,
di altre culture ed esperienze religiose. La cosa che mi ha rincuorato,
girando per l'Italia, è che c'è volontà di rinascere, nelle parrocchie e
fuori, nei quartieri, di rimettersi insieme, di creare piccole comunità: c'è
un tentativo chiaro di risalire la corrente. A differenza del Sud del mondo,
tuttavia, le nostre "comunità di resistenza" invece di essere unite vanno
ognuna per la propria strada, pensando di fare una cosa importante contro
l'impero del denaro, ma poi ci si scopre impotenti perché proprio tale
individualismo, conseguenza di questo tipo di economia, lavora anche nelle
"sacche di resistenza". L'impero dei grandi agglomerati economici, invece,
riesce a collaborare e ad autoalimentarsi alla perfezione: è in questo
meccanismo che pulsa il cuore della globalizzazione. Alla "globalizzazione
economica" noi dobbiamo rispondere con una "globalizzazione dal basso", in
chiave di "resistenza". Si tratta di mettere in atto una "strategia
lillipuziana": i minuscoli lillipuziani, alti appena qualche centimetro,
catturano Gulliver, il gigante predone, legandolo nel sonno con centinaia di
fili. Di fronte alle soverchianti forze e istituzioni globali, la gente può,
in modo analogo, utilizzare le modeste fonti di potere che ha in mano e
combinarle con quelle in possesso di altri, partecipanti ad altri movimenti
e in altri luoghi.
La "strategia lillipuziana" intreccia molte azioni particolari, pensate per
ostacolare il livellamento verso il basso -perché l'economia tende a
spostare gli investimenti dove minori sono i costi- e spingere, invece, il
livellamento verso l'alto, per permettere cioè ai poveri di elevarsi. Che
cosa possiamo fare? Bisogna innanzitutto collegare gli interessi dei poveri
con i nostri, le identità specifiche con comunità più ampie, le
problematiche con i soggetti sociali, chi è minacciato con chi è
marginalizzato; collegare diverse fonti di potere; collegare le lotte contro
l'istituzione come oggetto di contestazione, la resistenza con il mutamento
istituzionale; collegare questioni economiche e democratizzazione. Questa è
la vera strategia politica, che dovrebbe nascere in Italia prima di tutto in
chiave regionale. Da qui, dall'esperienza di coordinamento regionale, ci si
potrà muovere verso un coordinamento nazionale, ed avere forse una piccola
équipe, che potrebbe fare da connessione, senza comandare, ma esercitando al
massimo grado, specialmente con gli strumenti offerti dalla telematica e da
Internet, un'amplissima rappresentatività democratica. La tecnologia che
abbiamo a disposizione sarebbe meravigliosa se usata per l'uomo e non come
esclusivo strumento del mercato. Dobbiamo, cioè, essere agenti di
"vitalizzazione" (la filosofia africana la chiama "vitalogia", perché il
cuore del sentire africano è la vita). Si può vivere solo in comunità, stare
bene insieme, cantare insieme, celebrare insieme, vedere che si possono
ottenere delle piccole vittorie.
Gioire dentro una famiglia ci ridona la gioia di vivere, della relazione del
volto, i volti dentro una comunità, la gioia della comunità, la gioia
dell'incontro, della danza, della festa, della vita. Pablo Richard, un
teologo della liberazione del Costa Rica, dice che "il tempo delle profezie
è passato; oggi è il tempo dell'apocalittica". L'Apocalisse biblica è la
letteratura di resistenza delle prime comunità cristiane, il libro in cui
profetizzavano la caduta di quell'impero che le perseguitava. Anche noi
dobbiamo abbandonare i sogni di un tempo, nei quali immaginavamo di prendere
il potere. "Oggi, dice Richard, anche se si prende il potere non si va molto
lontano. Alle soglie del Duemila, quando si può governare solo entro i
limiti imposti dal Fondo Monetario, dalla Banca Mondiale, è irrilevante chi
governi. La speranza si sposta dalla politica alla società civile, ai
movimenti popolari, affinché costruiscano un nuovo potere dal basso.
Qualcosa di alternativo, di bello, di gioioso, di felice, che, con grinta,
crei nuove culture, nuove preghiere, nuove maniere di vivere insieme, nuove
prospettive economiche, perché vinca la vita".
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