Il grido dei poveri sulle strade di Rio
20 giugno 2012, Rio de Janeiro
Vi scrivo con negli occhi uno spettacolo straordinario: Rio di notte, vista dalla collina di Barrio Santa Teresa che sovrasta il cuore della città. Sono appena tornato da una grande manifestazione nel centro della megalopoli, illuminato a giorno.
Che impressione vedere così tanti giovani manifestare davanti ai palazzi del potere e della ricchezza ostentata pur in presenza della miseria di milioni di favelados (per inciso, Rio fa 14 milioni di abitanti). In 50mila hanno percorso la maestosa strada centrale, avenida Rio Branco, cantando, ballando, urlando.
Pesanti le scritte sugli striscioni: “No alle soluzioni del capitalismo verde”. Pesanti gli attacchi alla presidente del Brasile: “Dilma non vedi che figura stai facendo?” Dilma è sotto un pesante attacco per aver firmato una legge che incrementerà il taglio di alberi nella foresta amazzonica.
Una partecipazione corale, popolare, gioiosa. “Non vedo le tivù nazionali”, urla una donna da un altoparlante di un camion. Infatti i media del potere sono assenti. Molto presenti invece la polizia in assetto antisommossa e reparti dell’esercito (questo città mi appare davvero sotto controllo militare).
Notevole la partecipazione delle comunità indigene sia brasiliane che boliviane. Massiccia la presenza di Via Capesina e soprattutto dei Sem Terra brasiliani.
Mi son sentito bene marciando con loro. Condividendo le loro straordinarie lotte ho avuto la netta percezione di un’intensa vitalità e di voglia di cambiare. Mi sono intristito solo nel costatare l’assenza delle comunità di base brasiliane, una volta così forti e così presenti (purtroppo la chiesa in Brasile si sta sempre più rinchiudendo su se stessa).
Forti le contestazioni contro le multinazionali, specie quelle brasiliane. “La vostra multinazionale Vale do Rio Doce – urla una donna mozambicana al microfono – sta costruendo una diga nel mio paese, derubandoci delle nostre terre e delocalizzando la nostra gente”.
Anche ieri sera era stata organizzata una manifestazione, con tremila persone in piazza, proprio contro la Vale, la più potente del Brasile, che estrae ferro nel Carajàs (regione del Maranhao) e lo strasporta lungo un tratto ferroviario di 892 km fino ad arrivare al mare. Questo ferro viene esportato in una quantità di 100 milioni di tonnellate l’anno. Lungo il percorso del treno che trasporta il minerale di ferro, la Vale si rende responsabile, oltre che di violazioni del diritto del lavoro, di tante violazione di diritti umani e di diritti ambientali. Il treno investe e uccide una persona al mese per mancanza di protezioni e di segnaletica. Anche le case vicino al percorso del treno subiscono dei danni e non poche sono pericolanti. Nonostante ciò la Vale ha l’obiettivo di raddoppiare, entro il 2015, la produzione di minerale di ferro e quindi costruire un altro binario.
Raddoppieranno anche le violazioni dei diritti umani.
Nel 2009, i missionari comboniani del Brasile hanno iniziato una campagna contro questa multinazionale. L’impegno riguarda tutti, in particolare padre Dario Bossi, fratel Antonio Soffientini e padre Domingo Savio si sono mossi con decisione a sfidare questo gigante.
Dopo tre anni di lotte locali e internazionali, l’opinione pubblica è più consapevole e si cominciano a vedere i primi frutti: la manifestazione del 19 giugno, con tremila persone, è uno di questi frutti. La rete internazionale, le vittorie processuali e la formazione di leader comunitari sono altri frutti di questa azione.
Sono piccole vittorie, piccoli gesti simbolici di un popolo che vuole un altro sistema, rispettoso di questo piccolo pianeta che è stato messo nelle nostre mani. A noi è stata data la gioia di camminare con questa gente, con gli umili, gli emarginati di questo continente, sognando un mondo altro.
Questa è la Cupola dos Povos così lontana dai quartieri ricchi dove oggi si aperto ufficialmente il vertice Onu. Ma la speranza non sta nei palazzi ma sulle strade di Rio e del mondo con i popoli in cammino.
Alex Zanotelli
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