Carovana della pace 2012. Intervista ad Alex Zanotelli
Il problema fondamentale è la cecità. Ma la più grande grazia che abbiamo è quella di potere vedere. Una volta che impariamo a vedere la realtà rimaniamo talmente inorriditi che ci diciamo “io non l’accetto, devo cambiare per creare un mondo che sia altro”
Alex Zanotelli
Dal 25 al 30 settembre ha avuto luogo la Carovana missionaria della pace 2012. A differenza di precedenti edizioni in cui la carovana è andata in giro per il paese, quest’anno i carovanieri hanno preferito muoversi all’interno di una sola area geografica scegliendo la Campania.
La Carovana si è mossa da Pozzuoli a Castelvolturno, da Caserta a Senerchia, Eboli e Salerno sino ad arrivare nei quartieri di Scampia e Sanità di Napoli con la volontà di incontrare persone e comunità, di ripercorrere le problematiche che da anni le affliggono ma anche con il desiderio di fare emergere l’impegno e le iniziative dal basso che mostrano e dimostrano come sul territorio si possa rispondere positivamente alla crisi e a problemi che sembrano endemici.
Ecco così La Tenda di Don Antonio Vitiello per i senza fissa dimora, la Cooperativa La Paranza, una sorta di trova lavoro ideato da Don Antonio Loffredo con l’idea di valorizzare i luoghi turistici creando contestualmente occasioni di lavoro per i giovani o ancora le attività di last minute market con le quali si recuperano prodotti in scadenza dai supermercati per distribuirli ai poveri o ancora le collaborazioni con Banca Etica per avviare esperienze di microcredito e la cooperativa sociale neWhope a Caserta per il recupero delle donne vittime della tratta.
A chiusura di questa edizione della Carovana della Pace 2012 abbiamo raggiunto Alex Zanotelli per saperne di più e fare con lui un punto non solo sull’iniziativa.
Quando e perché nasce la Carovana della Pace?
La Carovana delle Pace nasce nel contesto del Giubileo dell’anno 2000 ed è nata dall’idea dei missionari comboniani convinti che occorreva mettersi per strada per riportare il concetto di giubileo alle sue dimensioni bibliche. Missione vuole dire essere per strada, essere viandanti, incontrare la gente e mettere insieme le persone; aiutarle a capire i problemi ed allargare il cuore alle dimensioni del mondo.
La Chiesa italiana parla di giubileo dimenticando però la sua dimensione pubblica. Il giubileo pubblico è sociale, economico, finanziario, politico ed è concretezza, sempre che si voglia riprendere il significato originario di giubileo biblico. Così partì la prima iniziativa con l’organizzazione del Giubileo degli Oppressi che mirava a raccogliere il grido degli oppressi. Poi si sono succedute le altre edizioni con frequenza biennale per poi arrivare, dopo una pausa nel 2008, all’edizione terminata a fine settembre di quest’anno.
Quali sono stati i temi portati avanti in questa edizione?
Il tema fondamentale di questa edizione della Carovana della Pace è il grido della Terra, la grande crisi ecologica. Abbiamo puntato su un percorso che ha abbracciato tre problematiche essenziali: il disastro ambientale, lo strapotere delle mafie e la tratta degli esseri umani. La novità rilevante è stata che non si è trattata solamente di un’edizione organizzata e partecipata dai missionari comboniani, ma sono stati coinvolti anche gli istituti missionari, i centri missionari delle diocesi italiane ed anche tante associazioni e realtà che si sono unite dandosi la mano per realizzare la Carovana della Pace. Del resto è importante ricordare come il suo simbolo sia una mano e il suo slogan I Change. Io voglio cambiare ed il cambiamento comincia da me, ci metto le mani.
Che bilancio si può fare di questa edizione?
La prima cosa è positiva ed è rappresentata dai giovani. Si parla tanto male dei giovani ed invece non mi è mai capitato prima un gruppo di persone così preparate, critiche ed anche con una profonda spiritualità. Il secondo aspetto è legato alla condivisione e alla partecipazione per la prima volta delle chiese locali, che hanno risposto alle sollecitazioni della Carovana. Ma le chiese sono ancora lontane da quello che si dovrebbe fare. Le chiese fanno tanta fatica ad un esercizio unitario pastorale capace di rispondere alle crisi.
Il terzo punto è la partecipazione popolare piuttosto scarsa. Di certo non abbiamo trattato temi facili e semplici per chi vive in Campania. La Carovana ha rappresentato forse una novità e la gente non è abituata a tale tipo di confronto su argomenti così sensibili. L’idea è stata anche quella di valorizzare quelle esperienze positive che esistono in questa regione. Abbiamo visitato luoghi che stanno resistendo in vario modo allo strapotere delle mafie e si è avuta l’occasione per raccontare e presentare delle varie iniziative di cambiamento che sono portate avanti.
Cosa porta a casa Alex Zanotelli della Carovana della Pace 2012?
I volti delle persone che abbiamo incontrato, quello degli immigrati che esprimevano tutta la loro sofferenza. Mi ha colpito tanto anche l’impegno dei giovani che combattono a Senerchia per l’ambiente, dei giovani che rischiano. Vedere la loro volontà e la loro determinazione è davvero straordinario così come è straordinario vedere la resistenza di Scampia o quella del rione Sanità, la resistenza di persone concrete che lottano nonostante tutto quello che vedono. La ricchezza viene dall’incontro con queste persone che lottano nel quotidiano riuscendo a trovare delle maniere nuove in condizioni estremamente difficili. È gente che ti dà tanto.
“I change” è lo slogan della Carovana della Pace 2012. Una delle parole più inflazionate è quella del cambiamento. Se dopo tanti anni siamo ancora qui a parlarne e a mobilitarci significa che è davvero così difficile la sua attuazione attraverso l’azione concreta e col modificarsi dei comportamenti individuali e cultura del nostro paese?
Rendiamoci conto che è davvero difficilissimo modificare la situazione. Noi italiani, per esempio, usciamo da venti anni di televisione berlusconiana che ci ha addormentati, che ci ha avvelenati, che ci ha messo in testa che l’unico modello che abbiamo è quello e siamo incapaci di rimetterlo in discussione. Diventa così difficile cambiare. Forse non vogliamo cambiare, forse è quella la verità. Il cambiamento inoltre non si può imporre dall’alto, ma deve venire dalla persona.
È innanzitutto necessario capire che si deve cambiare per il bene e non perché qualcuno lo impone. Questo richiede tempo. Informarsi e ‘coscientizzarsi’ a partire dal basso per poi fare passare tutto questo in chiave di azione politica, in azione non violenta per trasformare la realtà. Ma è molto dura, non prendiamoci in giro. Dobbiamo mantenere la speranza. Dobbiamo lottare, impegnarci per cambiare.
Perché risulta molto più difficile impegnarsi nella concretezza per la ‘nonviolenza’ che mobilitarsi per la pace?
Una delle cose fondamentali dell’insegnamento di Gesù è proprio la nonviolenza. Gandhi ha imparato da Cristo la nonviolenza attiva. Pensa a livello di Chiesa come siamo stati bravi in questi secoli a dimenticarlo. Nei primi tre secoli nelle comunità cristiane ad ogni uomo che si presentava per il battesimo gli si diceva, o il battesimo o l’esercito. Basterebbe che le chiese facessero questo oggi; cadrebbe il sistema militaristico che abbiamo, altro che guerra giusta o sbagliata o guerra umanitaria. A causa di questa infedeltà all’insegnamento di Gesù abbiamo dimenticato che l’unica strada percorribile che abbiamo è quella della nonviolenza attiva.
In riferimento alle tue ultime parole, è inevitabile chiederti perché la Chiesa ha dimenticato
Oggi la Chiesa è troppo legata al potere. La Chiesa è diventata un altro potere e deve contro bilanciarsi con gli altri poteri ed avanza di questo passo. Il più grande tradimento del cristianesimo è nel non avere colto il messaggio del vangelo.
Che messaggio ti andrebbe di lasciare alla gente che rappresenta e vive questo oggi?
La cosa più tragica di cui non ci accorgiamo è che siamo ciechi. Nasciamo dentro dei sistemi e questi sistemi ci modificano talmente che noi pensiamo che quello che vediamo sia la verità, ci accorgiamo che è forse solo un pezzettino di verità. Il problema fondamentale è la cecità. Ma la più grande grazia che abbiamo è quella di potere vedere. Una volta che impariamo a vedere la realtà rimaniamo talmente inorriditi che ci diciamo “io non l’accetto, devo cambiare per creare un mondo che sia altro.”
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