O l’uomo o il profitto
Lecce, la Firenze del sud (così la chiamano), era una città blindata il 12-13 giugno, le giornate del “G8 economia”, che ha riunito i ministri dell’economia degli “8 Grandi” della terra.
In concomitanza con quell’evento, la cittadinanza attiva e responsabile della città ha voluto non tanto fare un contro- vertice (che non serve), quanto aiutare tutti a riflettere sull’“altra economia”, cioè sull’economia possibile. Ne è nata una serie d’incontri di ottimo livello, alcuni dei quali ho potuto seguire direttamente. È stata una bella esperienza, che mi ha molto arricchito, in special modo ascoltando il grido di chi, nel sud del mondo, è strangolato dall’attuale sistema.
Di estremo interesse è stata l’analisi sulla situazione finanziaria mondiale, sui perché della crisi in atto e sulle strategie da attuare per uscirne. Interventi come quello dell’economista Bruno Amoroso hanno contribuito a dare spessore al tutto.
Ci si è soffermati su scenari alternativi a quello odierno. Mi hanno toccato le testimonianze dal sud del mondo e l’intervento di Francesca Caliolo, dell’“Associazione 12 giugno”. Vive a Taranto e ha raccontato della perdita del marito sul lavoro. Una delle tante morti bianche — una cinquantina — che riguardano il polo siderurgico Ilva.
L’argentina Sabrina Furtado, rappresentante dei movimenti latino-americani, si è chiesta come sia concepibile che, a livello globale, si siano reperiti 7.000 miliardi di dollari per salvare le banche, ma non si riescono a trovare 2.500 miliardi di dollari per debellare il debito estero che è illegittimo e che grava sul sud del mondo. Poi ha rincarato: «Noi del sud del mondo siamo creditori ecologici nei confronti del nord, responsabile delle più gravi ferite inferte all’ambiente».
L’Africa è stata, invece, rappresentata dallo zimbabweano, residente in Sudafrica, Piercy Makombe, dell’Economic Justice Network. Ha sottolineato che, se c’è un problema in Africa, questo si chiama “mercato”. Secondo lui, finché non verrà superata la supremazia del mercato e del profitto, è inutile parlare di sviluppo. Con forza ha chiesto di gridare per il diritto al cibo e per un’agricoltura che produca, non per esportare, ma per far mangiare la gente.
Un terzo grido è arrivato dall’Asia. Dani Setiawan, della Coalizione contro il debito dell’Indonesia, ha insistito sulla partecipazione popolare nei processi economici.
In questo contesto, si è inserito il professore Guglielmo Forges Davanzati, dell’Università del Salento, che ha delineato alcune ipotesi di fuoriuscita dalla crisi. Ha sottolineato che è necessario un ritorno allo stato e alla politica. Ha auspicato controlli duri e severi sui flussi fi nanziari. Si è soffermato sul “fattore Mezzogiorno”, che è quello che paga di più la crisi e al quale va data maggiore attenzione.
Sono stato chiamato a tirare alcune delle conclusioni. Ho ribadito che è criminale salvare le banche, nazionalizzandole con i soldi dei cittadini, e, contestualmente, privatizzare l’acqua; che il debito del sud del mondo è non solo illegittimo, ma anche immorale (e, dunque, i poveri non lo devono pagare). Ho insistito sulla speranza che ci viene dal sud, in particolare dalle esperienze latino-americane delle comunità indigene, e sulla necessità di fare sempre più rete fra movimenti.
Tutto questo è confluito nella manifestazione del 13 giugno per le strade di Lecce. In prima fila, a reggere lo striscione, c’erano parecchi missionari comboniani e sacerdoti diocesani. Bella anche questa dimensione di partecipazione come chiesa. Oltre 2.000 persone hanno manifestato pacificamente e festosamente, per ribadire il “no” al primato del profitto e il “sì” al primato dell’uomo.
Ho chiesto un impegno forte nella difesa della gestione pubblica dell’acqua e dei rifiuti (basta con le politiche d’incenerimento, e avanti con la raccolta differenziata e il riciclaggio). Ho ricordato uno slogan degli anni ’80 dei Beati i Costruttori di Pace: “Quando l’economia uccide, bisogna cambiare”. Quanto mai attuale.
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