Il Vangelo e "i più ultimi"
È stato uno splendido incontro quello che mi ha dato modo di conoscere Grégoire Ahongbonon, beninese emigrato in Costa d'Avorio, che cura i malati di mente in Africa Occidentale. È accaduto a fine di giugno, quando sono stato invitato dalla Fondazione "Premio Napoli" a un convegno incentrato sul libro dell'antropologo Valerio Petrarca, I pazzi di Grégoire (Sellerio editore Palermo, 2008), in una sala del Palazzo Reale di Napoli, presente Grégoire. Valerio Petrarca ha spiegato che, quando si parla di Africa attraverso immagini che hanno analogie con la vita occidentale, aumenta il rischio di fraintendimento. Ed è proprio il caso della storia di Grégoire Ahongbonon: perché ha come riferimento il Vangelo, un testo comune all'Occidente e all'Africa, le cui parole risuonano però diversamente, se sono lette in Africa o in Occidente. È perciò fondamentale capire dove si legge un testo.
Grégoire dice di aver scoperto i malati mentali prima in Costa d'Avorio, poi in Benin e ora in Burkina Faso, seguendo il desiderio di stare accanto ai più dimenticati. Dopo i malati e i carcerati, i "pazzi" gli sono sembrati «i più ultimi della terra». Li trovava - e li trova - incatenati agli alberi nei villaggi o abbandonati nei pressi delle discariche in città. La cura di Grégoire consiste nel liberare gli uomini, le donne e i bambini da catene non simboliche, nell'abbracciarli, nel lavarli, nel rivestirli e nell'ospitarli in case dove si vive nella reciproca attenzione e si ricevono le cure necessarie, anche di tipo farmacologico.
Il suo metodo, efficacissimo, non s'ispira alla psichiatria, benché nel 1998 abbia ricevuto il Premio "Franco Basaglia". Grégoire non ha una formazione medica. Di mestiere faceva il gommista, cioè il riparatore di pneumatici. Non aveva fatto studi regolari, né aveva alle spalle grandi letture, ma, una volta scoperto il Vangelo, ha cominciato a usarlo come un manuale d'introduzione alla vita sociale.
Perché il Vangelo ha trovato terreno così fertile nel cuore di Grégoire? Perché Grégoire lo ha "letto", non attraverso il metodo dell'addizione, ma della sottrazione. Il punto di vista evangelico non si è aggiunto ad altri punti di vista, ma ha rappresentato piuttosto il criterio di discernimento per cogliere ciò che è essenziale per la vita di tutti: essere accolti in una casa di giustizia e di amore.
Dobbiamo avvicinarsi allo spirito che ha animato la storia di Grégoire come modello di evangelizzazione utile all'Occidente. Qui anche le buone intenzioni si perseguono più per addizione di sapienze e intelligenze che per sottrazione, con il rischio di smarrire i tratti più chiari e preziosi del messaggio evangelico, come quelli della giustizia universale, generatrice di pace. Non casualmente le case dove vivevano i "pazzi" di Grégoire sono state isole di fratellanza, dove anche i sani - cristiani e musulmani, autoctoni e immigrati - cercavano rifugio durante il conflitto che nel 2002, in Costa d'Avorio, oppose i filogovernativi del sud e ribelli del nord.
Sono rimasto affascinato da questo africano così profondamente trasformato dal Vangelo da farmi pensare a un moderno Francesco d'Assisi. Gli ho chiesto com'era avvenuta questa sua conversione. E lui mi ha raccontato una storia affascinante.
In Costa d'Avorio, grazie al suo lavoro di gommista, Grégoire riesce a mettere da parte una piccola fortuna. Ad un certo punto, però, perde tutto e viene preso dalla disperazione e dalla tentazione di suicidarsi. È un incontro con un missionario a portarlo alla fede in Gesù di Nazareth. Aiutato dal missionario, va pellegrino in Palestina. «Là mi sono messo sulle sue orme e non l'ho più abbandonato. Tornato in patria, ho continuato a incontrarlo e "toccarlo" nei volti dei "pazzi"».
Esattamente come Francesco d'Assisi, che incontrò Gesù nel lebbroso. Anche per Grégoire, tutto ciò che è accaduto nella sua vita dopo il pellegrinaggio in Palestina è una conseguenza di quell'incontro con Gesù.
Ho chiesto a Grégoire: «Tu che curi i pazzi dell'Africa, cosa suggeriresti per curare la pazzia collettiva dell'Occidente?». M'ha risposto: «È necessario recuperare il Vangelo e viverlo nella sua radicalità».
L'ho abbracciato con immensa gratitudine. Dall'Africa evangelizzata ritorna a noi un "Vangelo vissuto", il Vangelo preso alla lettera di Francesco d'Assisi, che le nostre chiese di Occidente hanno dimenticato.
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