Festa e protesta
Il 1° marzo scorso è stata una giornata speciale. Per noi a Napoli, ma penso per molte città italiane. Quel giorno, infatti, abbiamo portato avanti un po’ ovunque lo sciopero chiamato “24 ore senza di noi”. Dove “noi” sono i migranti.
Un modo di farsi sentire che viene da lontano. Il 1° maggio di due anni or sono, negli Stati Uniti c’è stato uno sciopero dei migranti per far comprendere a tutti gli americani quanto è importante la presenza dei latinos nei vari ambiti dell’economia e della società. Questa modalità è passata poi in Francia e, quindi, qui da noi.
Certo, non sono stati molti i migranti che hanno potuto scioperare, considerata la difficile situazione economica che si ripercuote soprattutto su di loro. Ma noi, realtà della società civile organizzata, abbiamo chiesto a tutti i cittadini di organizzare manifestazioni o momenti di solidarietà con i migranti (e anche forme di boicottaggio di determinate merci) per creare coscienza e una cultura altra da quella che sta montando in questo nostro paese.
Noi a Napoli abbiamo vissuto le difficoltà di tanti nostri fratelli. E voglio ricordare la sofferenza dei maghrebini buttati fuori dalla baraccopoli di San Nicola Varco, vicino a Eboli: in 400 stanno ancora vagando nelle campagne del Sele, una bellissima zona agricola che richiede braccianti. Questi braccianti nordafricani hanno avuto la nostra solidarietà e il nostro impegno nel tentativo di trovare una soluzione alla loro situazione.
Abbiamo anche voluto far sentire la nostra vicinanza a un centinaio di amici migranti di Sant’Antimo di Aversa (nel Napoletano), che sono stati fatti sloggiare dal condominio dove abitavano. Ci siamo attivati per trovare loro un tetto.
Un’altra ferita profonda è stata quella di Rosarno Calabro: una parte delle persone che erano state cacciate lo scorso gennaio da quella località sono arrivate, o tornate, a Napoli e dintorni.
Tutte queste situazioni molto sofferte ci hanno portato a decidere di celebrare in maniera solenne il 1° marzo. Lo sciopero ha catalizzato tutta la rabbia e la contestazione – nostre e dei migranti – per la legislazione italiana in materia di immigrazione. Una legislazione che punta a disfarsi dei migranti, e che non temo di definire razzista e xenofoba.
Così, il Forum campano antirazzista ha indetto a Napoli una manifestazione che ha chiamato in piazza oltre 10mila persone, rappresentative di tutte le realtà dei migranti che vivono nella regione: dai burkinabè ai bengalesi, dai pakistani agli ivoriani, dai capoverdiani ai filippini, dai peruviani alle tante nazionalità dell’est europeo.
È stata, prima di tutto, una festa di volti e di colori. Siamo partiti da Piazza Garibaldi, davanti alla stazione centrale, e abbiamo attraversato la città, fino a sfociare in Piazza Plebiscito di fronte alla prefettura (una delegazione è stata ricevuta dal prefetto).
È stata per me una bella immersione in un mondo multicolore. Soprattutto, ho notato il senso di festa che ha tenuto insieme il corteo. Anche un momento di protesta può essere festoso. E questo mi ha riportato a quello che diceva Desmond Tutu, arcivescovo anglicano sudafricano, delle lotte ai tempi dell’apartheid: «La resistenza va goduta». Il 1° marzo a Napoli abbiamo vissuto tutti la bellezza della convivialità delle differenze.
Aveva ragione san Daniele Comboni quando diceva: «Sarà l’Africa a salvare l’Africa». A queste parole aggiungerei: saranno gli africani e i migranti a salvare questa nostra povera Italia.
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