Nel nome della rosa
Ho avuto la fortuna di poter partecipare a Bolzano (23 e 24 gennaio, presso l’Eurac) a una conferenza internazionale per una floricoltura sostenibile. È stato un piacere incontrare coloro che, sia in Italia che in Europa, lavorano sul tema “fiori e diritti”, che era appunto il titolo della conferenza. Lavorano per far in modo che i fiori che arrivano in Europa dal sud del mondo siano prodotti con un minimo di equità.
Il centro del nostro discutere e delle nostre attenzioni è stato un fiore specifico: la rosa. Fiore che in Italia acquistiamo dal nostro fioraio di fi ducia, spesso senza sapere che, per il 90%, si tratta di una rosa importata dal Kenya, dall’Etiopia o dall’Ecuador. Il fiore che arriva dalle piantagioni africane è venduto alle aste olandesi a soli 7 centesimi di euro. Quella rosa è stata trasportata in aereo ad Amsterdam e poi distribuita, via terra, in tutta Europa. Il boom della vendita di rose è in febbraio, a san Valentino, e in maggio, in occasione della festa della mamma.
Buona parte delle rose crescono nel sud del mondo. Quelle vendute in Europa sono prodotte soprattutto in Africa: un lavoro affidato quasi esclusivamente alle donne. Quelle vendute nell’America del nord sono prodotte in Ecuador e in qualche altra nazione sudamericana.
Prima di entrare nelle nostre case o di rendere più romantico un appuntamento, la rosa viene trattata anche ottanta volte con prodotti chimici. Questo è un segnale che deve indurci a non dimenticare che dietro a ciascuna rosa ci possono essere situazioni tremende.
A Bolzano ho ascoltato Akilu Negussu, del Forum for Environment dell’Etiopia, che si è soffermato sui diritti ambientali nella produzione di fiori. È stato durissimo sulle condizioni in cui si producono le rose in Etiopia e in Kenya. Anch’io sono stato testimone di ciò in Kenya.
Il grosso della produzione avviene nei pressi del lago di Naivasha, 100 chilometri a nord-ovest di Nairobi. Si tratta di un bellissimo bacino, famoso per i fenicotteri, le cui acque vanno diminuendo perché usate per la coltivazione dei fiori. La cosa grave – l’ho potuto vedere con i miei occhi e anche sentire dalle testimonianze dirette delle donne che vi lavorano – è che le lavoratrici sono trattate male. Si usano pesticidi potenti, molti dei quali proibiti in Europa, senza un’attrezzatura adeguata. Per questo motivo, alcune lavoratrici sono diventate cieche. Inoltre, lavorando sei giorni su sette, mangiano e dormono accatastate in baracche che vengono fornite dalla ditta che produce fiori. Il salario è misero.
Va detto che ci sono imprese che trattano meglio le persone e sono attente alla sicurezza e ai diritti basilari delle lavoratrici. Ci sono però molti casi in cui chi lavora è trattato come se non fosse titolare di nessun diritto.
Durante il convegno ci si è chiesti come poter cambiare questa situazione e, prima di tutto, come far passare queste informazioni, come farle arrivare all’opinione pubblica più vasta in Italia e in Europa. È giusto che si sappia che dietro queste rose ci sono tante lacrime.
Intendiamoci: non si tratta di fare una campagna contro le rose. Non è questo lo scopo. Si vuole solo fare in modo che queste rose, che per noi europei sono un segno molto bello, siano prodotte da persone i cui diritti vengono riconosciuti e rispettati.
Abbiamo tutti lavorato, durante il convegno, perché si potesse approdare a conclusioni concrete. Nella dichiarazione finale, sottoscritta da rappresentanti di Austria, Germania, Olanda e Italia, ci si è impegnati a uno sforzo congiunto per far crescere nei consumatori la consapevolezza che è necessario acquistare solo fiori certifi cati, in difesa dei diritti sociali e ambientali dei lavoratori del sud del mondo. Insomma: compriamo rose eque, cioè fiori che portano con sé un certificato che attesta come sono state coltivate.
Nei prossimi mesi partirà una campagna di denuncia, focalizzata su specifi che aree geografiche, per dimostrare che è possibile raggiungere risultati attraverso le certificazioni. Non sappiamo se ce la faremo a partire per la festa della mamma di quest’anno. Ma la scelta è stata fatta: raccontare ai consumatori europei che cosa c’è dietro una rosa, perché acquistino solo rose “certificate” (ce ne sono già in vendita) e boicottino quelle imprese del settore che non rispettano i diritti umani.
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