Sorella acqua pubblica
Eravamo in tanti a Roma, in Piazza della Repubblica, lo scorso 20 marzo, alla partenza della manifestazione nazionale sull’acqua pubblica. Una bellissima giornata dell’acqua e un corteo entusiasmante, che ha attraversato la capitale ed è sfociato in Piazza Navona. Eravamo non meno di 100mila persone. Tre anni or sono avevamo fatto un’altra manifestazione a Roma per la raccolta di 400mila firme sulla legge d’iniziativa popolare sull’acqua pubblica, ma non eravamo così numerosi.
Vuol dire che il “problema acqua” comincia a catturare l’attenzione dell’opinione pubblica. Vuol dire che sempre più gente ha voglia di darsi da fare, di lottare.
Ciò che ha riunito così tanta gente è un fatto preciso: non siamo assolutamente d’accordo con la privatizzazione dell’acqua, messa in campo dal governo. Quella che è chiamata “legge Ronchi” non la possiamo proprio accettare.
Riteniamo che privatizzare l’acqua sia come pensare di privatizzare la madre. Perché l’acqua è la madre. L’acqua è vita. Ed è con questa convinzione che abbiamo attraversato Roma. Un lungo pellegrinaggio scandito da tanti slogan. Ne voglio ricordare due: “Fuori l’acqua dal mercato” e “Fuori il profitto dall’acqua”.
Sono convinto che questo movimento sia una delle realtà più belle che sono nate in questi anni. Perché è unito, aldilà delle fedi e delle ideologie, e dà un senso di profonda solidarietà umana, fraternità e gioia d’incontrarsi.
In Piazza Navona si sono susseguiti gli interventi degli esponenti dei movimenti dell’acqua sorti in diverse regioni. La manifestazione era promossa dal Forum dei movimenti per l’acqua pubblica. È stato bello ascoltare le varie esperienze. Il Forum ha deciso che ormai l’unica maniera per reagire alla legge Ronchi è quella di andare al referendum. Per tentare di abrogare la legge. Non è stato facile arrivarci, ma alla fine questo è stato l’esito.
Tre i quesiti da sottoporre agli italiani, elaborati da alcuni tra i migliori giuristi italiani, da Stefano Rodotà a Alberto Lucarelli, da Ugo Mattei a Gianni Ferrara. Il primo: l’abrogazione dell’articolo 23bis del decreto-legge Tremonti (2008), che sancisce la privatizzazione dei servizi pubblici di rilevanza economica. Il secondo: abrogazione dell’articolo 150 del Codice dell’ambiente. Il terzo: abrogazione di quella parte del comma 1 dell’articolo 154 del Codice dell’ambiente che dispone che la tariffa dell’acqua è determinata tenendo conto della remunerazione del capitale investito. I tre quesiti sono stati proclamati in piazza. Si è detto che il referendum sarà gestito solo da associazioni della società civile. I partiti rimangono fuori.
È importante sottolineare che, se il movimento otterrà una vittoria, sarà la vittoria di cittadini che, in un momento in cui il mercato stravince, dicono “no”. L’acqua non si tocca!
Così, il 24 di aprile è iniziata la raccolta delle 600mila firme necessarie per indire il referendum. Ci sono tre mesi di tempo, fino al 24 luglio, per raggiungere l’obiettivo.
Devo dire che l’aria che tira è buona. Giro molto nel sud dell’Italia, ma faccio qualche puntata anche al nord. Di recente sono stato in Trentino e in Veneto. Vedo che la gente sull’acqua ha voglia di capire e di reagire con decisione.
L’acqua deve rimanere pubblica ed essere gestita da un ente di diritto pubblico. Questa battaglia è per me un’importante avventura, sia come prete – è un problema etico-morale – sia come missionario. Perché, se l’acqua verrà privatizzata, vuol dire che i poveri del sud del mondo la pagheranno ancora più cara di noi. Se già oggi ogni anno 50 milioni di poveri muoiono di fame, domani ne moriranno ancora di più di sete. Ecco perché questa campagna vede impegnati anche gli istituti missionari italiani.
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