La Pasqua dei rom
Il 12 aprile, alle 8 del mattino, padre Domenico Guarino, Felicetta Parisi ed io siamo andati al campo rom di Giugliano, le cui sorti sto seguendo ormai da vari anni. Le ruspe erano già al lavoro per lo smantellamento del campo. Ho cercato di forzare il blocco dei poliziotti. Dopo un po’, mi hanno lasciato passare. Mentre osservavo quello che le ruspe facevano, la rabbia mi cresceva dentro.
Guardandomi attorno, mi sono accorto che il campo era stato completamente abbandonato. I 500 rom erano fuggiti. Per me, che li avevo invitati a resistere, a fermarsi, è stato un grosso sbaglio. Loro, che sono facilmente ricattabili, hanno preferito fuggire.
Ho cercato dove erano andati. Avevano occupato un altro terreno abbandonato, sempre nell’area di Giugliano, che è una città di 110mila abitanti alle porte di Napoli. Ho tentato di parlare con l’ex sindaco, proprietario del terreno, e di convincerlo a concedere il terreno. Mi ha risposto di no. E i rom, come uno sciame di api, sono scomparsi con le loro roulotte.
A questo punto, sono tornato al campo dove le ruspe stavano continuando la loro opera. La decisione di abbattere il campo è stata presa dalla procura di Napoli, perché ha ritenuto che quella zona fosse completamente infestata di rifiuti tossici. Hanno ragione: la zona è tossica e i rom dovevano essere spostati. Ma bisognava offrire loro un’alternativa. Non si possono cacciare persone, senza prevedere per loro un altro luogo dove andare.
Va ricordato che questi rom, in tutto 700, sono profughi della ex Jugoslavia e stavano in quel campo da oltre 20 anni. Il comune di Giugliano ha detto di poter dare ospitalità a una parte di loro. Infatti, a fianco del campo sgomberato, è sorto un altro piccolo campo. Mi sono chiesto e ho chiesto a lungo: ma se è tutto inquinato da rifiuti tossici, perché questo piccolo campo? Ipocrisia totale!
Se si pensa che Giugliano è una della aree maggiormente contaminate dai rifiuti tossici e dal percolato (liquido generato dalla decomposizione dei rifiuti) e che ci sono 7 milioni di ecoballe accatastate qui, andare a prendersela con i rom è un’ipocrisia enorme. Alla fine, il comune ha sistemato 200 rom. Gli altri sono allo sbando. Due anni di lotte e di incontri con la prefettura di Napoli, di trattative, di promesse su promesse. Alla fine, nulla.
Quel 12 aprile ho girato per bene tutta l’area e mi sono reso conto che stavano cominciando a distruggere anche il cosiddetto “Campo 7”, un piccolo inferno come luogo di abitazione. Allora, mi sono detto: «No! Non mollo». E mi sono posto in una piccola casetta, costruita da un rom, deciso a non muovermi. Ho cominciato a gridare ai poliziotti e alle forze di sgombero: «Vergognatevi! Siamo la vergogna nazionale». Intanto, la ruspa veniva avanti. A un certo punto, 7-8 uomini della Digos mi hanno spostato lentamente a lato, finché la ruspa ha potuto demolire tutto.
Mi sono sentito anch’io demolito dentro. Avevo una rabbia incredibile. La sera stessa siamo stati ricevuti dal capo gabinetto del prefetto di Napoli. Voleva ricevere solo me e padre Guarino. Alla fine, però, ha accettato di discutere anche con quattro rom. È stato uno scontro su tutti i fronti.
Il mattino dopo, siamo andati in comune a Giugliano e nessuno ci ha ricevuto: né sindaco, né vicesindaco, né assessore alle politiche sociali. Abbiamo parlato con un consigliere comunale. Il giorno dopo, scontro finale in consiglio comunale, presente il sindaco. Ho parlato con durezza: ho detto loro che non potevano disinteressarsi di persone che vivevano lì da decenni. Niente da fare. Nessuna promessa.
Alla fine, parlando con il sindaco a tu per tu, gli ho detto: «Tra pochi giorni sarà la Pasqua del Signore e non penso che voi possiate celebrarla. La Pasqua del povero Cristo è là fuori, con quei poveri rom. Dobbiamo cominciare a capire che le Pasque sono le Pasque del Crocifisso fuori dall’impero romano, perché sobillatore e schiavo. O siamo da quella parte, o non celebriamo nessuna Pasqua».
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