Carissimi,
Jambo!
Chiedo perdono per non essere riuscito a trovare il tempo per stendere quest’ultima Lettera agli amici, lettera che ha alimentato questa incredibile ragnatela di amicizie, di relazioni, di Mistero che mi ha permesso di continuare a camminare sulle strade dei poveri per questi dodici anni.
Ma la vita a Korogocho è stata talmente intensa da non trovare il tempo per scriverla. Perdonatemi. E’ stato l’anno forse più duro a Korogocho, a parte il 1998. Spesso mi sono ritrovato nelle parole del salmo 62 “..come muro, muro sbrecciato e cadente.”
Ora rafforzato nello spirito dalle gioiose celebrazioni natalizie (che boccata d’ossigeno!) e dall’arrivo di padre Daniele Moschetti (vero dono di Natale)…..tento di condividere con voi un anno carico di sofferenza, ma proprio per questo così denso di vita, di birthing (un intraducibile parola inglese che significa nascita-re). Un senso di birthing percepito con forza proprio nella morte della mamma. “Rendiamo grazie a…” erano state le ultime parole della mamma come risposta all’ “Andiamo in pace”, a conclusione dell’ultima messa celebrata a fianco del suo letto all’ospedale di Cles. Mi nasceva spontaneo il grazie per la vita che mi aveva donato, per il suo insegnamento a fare della vita un dono agli altri fin dal suo seno. “Fin dall’utero a Te sono votato – nelle parole del salmo 22 - dall’origine sei il mio Dio, mia vita succhiata col latte.”
Infatti nel giorno del suo matrimonio aveva chiesto al Signore che il primo figlio maschio fosse consacrato a Lui. Piangeva di gioia il giorno della prima messa (fu il giorno più bello della sua vita). E mi seguì con amore grande sulle strade del mondo anche nei momenti più duri e burrascosi. Insieme con papà (splendida figura di montanaro e di resistente) rimase un punto fermo della mia vita.
Quella settimana passata con lei all’ospedale di Cles è stato un momento importante per me per fare memoria ed il regalo più bello che potevo farle. “Ses contenta che son nu?” le chiesi « Sive, pop ! », mi rispose con un sorriso che non dimenticherò mai. Fu la sua morte però, il 7 marzo 2001 il suo vero testamento. “In genere si ama per essere amati, mentre la morte lei ci insegna, ad amare l’altro lasciandolo essere “altro”, lasciandolo essere nella sua alterità- afferma Marie de Hennezel nel suo libro “Passaggio luminoso” che ho riletto mentre assistevo la mamma - Bisogna saper perdere ciò a cui teniamo di più perché è in tale libertà che si ama davvero. Questa vita che amiamo appassionatamente (la nostra vita!) proprio mentre stiamo per lasciarla la amiamo di più. Comprendiamo allora che questa esistenza è un “altro”, che “io e’ un altro” e che questo essere che amiamo, lo amiamo meglio il giorno in cui siamo capaci di permettergli di andare là dove deve andare…. Spesso i morenti attendono il nostro permesso. Dovremmo riuscire a dire: ‘ Và, verso te stesso, io sono con te…..’. ”
Pochi lo hanno capito così bene come la zia Alda (la sorella della mamma quando il giorno del suo AD-DIO ci rimproverava: “No planget popi! Laiala nar, cha femma!” (Non piangete, lasciatela andare quella donna).
La mamma è stata la persona più decentrata che abbia mai conosciuto. La sua vita erano gli altri. Fino alla fine.
“Quando celebrai la prima messa in questo paesino di Livo fu la mamma la prima persona a venire a baciarmi le mani – dissi durante l’omelia per la sua reposizione. Oggi sono io che vengo a baciare le tue mani, mamma, perché se sono prete lo devo a te e perché lo sei stata più di me.” Mi avvicinai e baciai commosso quella bara su cui avevo deposto un crocifisso mutilato di Korogocho e un rosario Pokot preparato dalle ragazze madri dell’Udada. Mi è venuto allora spontaneo invitare i presenti a cantare il Magnificat. Sentivo il bisogno di dire Grazie perché la sentivo viva. Ho voluto esprimere questo senso di vita dando a ciascuno il primo fiore che nelle nostre valli irrompe dalla neve e proclama la primavera: i gattici.
“Sei tu Signore che mi hai intessuto nel ventre della madre, facendo del suo grembo una tenda” (Salmo 139).
Con questi rametti di gattici, sospinti dalle campane che suonavano a festa, abbiamo accompagnato la mamma a riposare accanto a papà Sandro in quel cimitero di Livo che raccoglie tante umili persone per me così significative.
Mentre deponevamo il corpo della mamma nella nuda terra, mi è venuto spontaneo chiedere ai tanti amici presenti di cantare un canto della montagna che lei gradiva molto.
“Che dolcezza nella voze de me mama,
quando insieme s’arrivava al Capitel:
la polsava en momentin, la pregava pian pianin.
E alla fin la me diseva: Vei che nem!
Ve saludo Madonina, steme ben!”
Mi venne poi spontaneo inginocchiarmi sulla tomba e chiedere la loro benedizione. (Non dimenticherò mai l’ultima straziante benedizione, quando papà e mamma mi imposero le mani e mi benedirono prima di ritornare nel 1991 a Korogocho). Su quella tomba sentii nuovamente quelle due mani benedicenti che mi davano tanta vita, tanta forza per ridiscendere agli inferi.
Al mio ritorno, la comunità cristiana di St. John organizzò una stupenda eucaristia in memoria della mamma, la cui fotografia vedo spesso appiccicata sui muri delle baracche. La piccola comunità cristiana più povera, quella dell’Ujamaa (lebbrosi che vanno in città ad elemosinare) fece una colletta che mi presento’ dicendo: “Antonietta è la nostra mamma.” Mai avevo sentito la sua presenza come durante questo difficile anno.
L’anno della lotta della terra di Korogocho. Lo scontro durissimo tra la comunità di Korogocho rappresentata dal comitato dei 28 (quattro per ognuno dei 7 quartieri della baraccopoli) e i proprietari delle baracche. Storia che ho narrato nella lettera “La lotta per la terra” dello scorso anno. Gli insulti, le parole, le minacce che ho ricevuto per questo sono infinite. I proprietari delle baracche riuniti in associazione (COWA) hanno portato la comunità di Korogocho insieme con il prefetto della città e il commissario del governo per la terra in tribunale.
La prima udienza fissata per il 4 ottobre fu rinviata. Siamo ancora in trattative per fissare una nuova data. Sarà una storia lunga e difficile. Penso che la comunità, difesa in tribunale dagli avvocati del Kituo cha Sheria, dovrebbe farcela ad ottenere la terra. Sarebbe davvero una bella notizia non solo per Korogocho, ma per tutti i baraccati di Nairobi.
Nel frattempo il Pamoja Trust con i suoi organizzatori comunitari ha continuato ad organizzare la gente tramite gruppi di risparmio e credito (Savings & Credit) che sono ora la punta di diamante del Muungano ya Wanavijiji (coordinamento delle baraccopoli). Il Pamoja ha inviato anche vari membri del comitato popolare di Korogocho a visitare Bombay (India) per vedere come i baraccati di quella metropoli si sono organizzati (un’esperienza pilota).
L’8 dicembre abbiamo fatto un incontro di tutti i gruppi del Muungano. E’ stato un momento molto bello: i rappresentanti dei baraccati hanno celebrato le loro vittorie. Oltre un migliaio di delegati, riuniti all’Ufungamano House hanno raccontato e danzato le loro imprese. Quest’incontro fu un primo assaggio per preparare gli importanti eventi di quest’anno: la Maratona di Nairobi (14 Aprile) promossa da Vivicittà che vedrà coinvolti insieme ai giovani delle baraccopoli, famosi atleti Keniani come Paul Tergat e l’incontro continentale dei baraccati d’Africa. Quest’ultimo si dovrebbe tenere il 29 Aprile al 3 Maggio a Nairobi. E’ il primo del suo genere in Africa. E’ promosso dall’SDI (Slum dwellers International) che ha incaricato il Pamoja Trust di organizzarlo. Sarà una vera benedizione anche per il coordinamento delle baraccopoli di Nairobi che dovra’ per l’occasione esprimere una leadership democraticamente eletta.
Il Land Caucus (un piccolo gruppo di persone impegnate sul problema della terra) ha dovuto darsi da fare per animare tutto questo. Un periodo che ha visto l’esplosione violenta della più grande baraccopoli Kibera (700.000 abitanti). Si parla oggi di 30 morti e di danni ingenti. Il tutto è scoppiato quando il presidente Moi (per scopi elettorali) ha detto che gli affitti a Kibera erano troppo alti. Questo vento di protesta è passato anche ad altre baraccopoli e sta ora surriscaldando Ngunyumu, un villaggio in muratura adiacente a Korogocho. Temiamo un altro bagno di sangue che potrebbe poi coinvolgere anche Korogocho.
Altro punto caldo è stata la discarica del Mukuru situata davanti alla chiesetta di St. John. Migliaia di uomini, donne e bambini si guadagnano la vita raccogliendovi i rifiuti. Un gruppo di giovani (Mungiki) che vivono nel quartiere adiacente di Dandora hanno deciso di sbarazzarsi di un'altra banda rivale della discarica (Kamjeshi) che minacciava il loro controllo sui trasporti pubblici (tangenti). I giovani del Mungiki hanno sconfitto quelli del Kamjeshi uccidendo oltre venti persone. Hanno poi bloccato l’accesso alla discarica sia ai camion della nettezza urbana sia ai raccoglitori. E’ stata la fame per tanta gente. Con l’aiuto di Anthony, un coordinatore comunitario di Upinde, abbiamo cercato di organizzare la gente della discarica. E’ stato durissimo. Ma alla fine i raccoglitori di rifiuti hanno vinto. La polizia ha sgomberato dalla discarica i giovani del Mungiki e l’ha riaperta ai camion della nettezza urbana. Questo ha permesso alla gente di ritornare a lavorare. E’ stata una grande vittoria. La gente della discarica ha promesso di organizzarsi in società legale che dovrà poi essere riconosciuta dal governo e di fare elezioni.
Nonostante tutte le difficoltà, lotte, scontri, stiamo vivendo un momento di grazia per il problema terra a Nairobi. Per la prima volta il governo Moi ha iniziato ad affrontare seriamente il problema delle baraccopoli (è la prima volta dopo 100 anni di apartheid economica). Sono molte le ragioni di questa svolta. Il governo ha capito che le baraccopoli costituiscono una disgrazia internazionale ma possono essere anche un grosso serbatoio di voti soprattutto in questo anno elettorale. (Ricordiamoci che Nairobi politicamente è in mano all’opposizione). Altra grossa spinta è venuta da Habitat di Nairobi soprattutto tramite la sua dinamica direttrice Anne Tibaijiku. Le Nazioni Unite hanno fatto sapere a Moi che non potevano continuare a lanciare campagne nel mondo sugli insediamenti urbani e sulla proprietà della terra nelle baraccopoli mentre a Nairobi c’è una delle peggiori realtà urbane mondiali. Infine lo sforzo della campagna per la terra sostenuta dal Pamoja Trust ha certamente influito su questa svolta governativa. In questo contesto l’incontro avvenuto il 16 gennaio di quest’anno tra Jane Weru (Pamoja Trust) e la Anne Tibaijiku è stato significativo. Questo permetterà un fronte comune: Habitat e baraccati per premere sul governo. Oggi sembra davvero che molti esponenti del governo siano pronti a fare qualcosa a favore dei baraccati.
E’ quanto emerso in un incontro a Thika prima di Natale. Forse il governo non sa cosa fare, data la vastità del problema. Ma è già importante questa apertura. Si tratta ora di lavorare per concretizzare questa speranza.
Anche dentro Korogocho qualcosa si sta finalmente movendo. Il comitato per la terra che riunisce gli affittuari si sta rafforzando. E’ la prima volta che questo avviene a Nairobi. Sono piccoli segni di speranza che hanno costellato questo anno difficile.
Altro segno bello dentro Korogocho è stata la riconciliazione di due piccole comunità cristiane (Mukuru A e Mukuru B) che lavorano da anni sui rifiuti ma che si facevano la guerra per la terra data loro dal governo. “Questo nostro atteggiamento – ci disse la gente del Mukuru A - è antievangelico. Il Vangelo ci chiede di perdonarci. Non possiamo mangiare la Pasqua senza riconciliarci.” Durante un pubblico incontro si domandarono perdono, divisero la terra con atto notarile mettendo così fine alla disputa. Suggello finale: benedizione della terra e delle due comunità con il sangue di capra per esprimere che i due gruppi sono ora una sola famiglia. Ed ha funzionato.
Significativo anche l’accordo pubblico (firmato davanti a tutti) tra i capi musulmani e cristiani di Korogocho per dire la volontà di collaborare a favore della comunità allargata. C’è oggi un ottimo rapporto con l’imam e la comunità islamica nonostante Bin Laden! Questo dovrebbe portare lentamente (ci stiamo lavorando) ad un tentativo di community policing (polizia comunitaria): cioè ad una stretta collaborazione tra la polizia dello stato (corrotta fino all’osso) e la comunità di Korogocho per assicurare un minimo di sicurezza. Abbiamo passato mesi di totale insicurezza (che continua!) per i continui attacchi di bande armate che controllano Korogocho (uccidono, violentano, rubano..).
Questa situazione di grande insicurezza dovuta a questi banditi armati ha portato lo scorso giugno a sanguinosi scontri tra la gente di Ngunyumu che vive in case in muratura e la gente di Korogocho. Anche qui siamo intervenuti per aiutare i gruppi avversari a parlarsi. Durante questi incontri è emersa la corruzione totale che regna a Korogocho (è mafia autentica) dove i banditi armati sono un tutt’uno con i poliziotti i quali a loro volta sono in stretto legame con le donne che vendono il chang’aa (alcol locale). Ma visto l’inutilità dei vari tentativi, abbiamo deciso di fare una marcia di protesta contro la polizia. Colmo dei colmi, la polizia sequestrò la macchina su cui avevamo piazzato l’altoparlante. La gente infuriata decise di marciare fino alla caserma di polizia. A pochi metri dalla caserma fummo attaccati dalla celere con lacrimogeni, manganellate. Tentammo di sfondare. Fui preso e schiaffeggiato da un poliziotto. Forzai allora la linea della celere ed entrai nella caserma dove mi attendevano i pezzi grossi della polizia. “Chi sei tu?” mi chiese il comandante. “Sono padre Alex e vengo dalla chiesa cattolica di St.John”. “Fuori di qui! ”. “Arrestatemi, arrestateci tutti! Siamo stufi di essere trattati così a Korogocho.” Alla fine i capi accettarono di trattare e la spuntammo. Ritornammo in trionfo a Korogocho con la macchina sequestrata e l’autista arrestato. Fu una grande lezione per tutti sull’efficacia della mobilitazione popolare.
Abbiamo intuito le stesse potenzialità mobilitando i ragazzi di strada. Questa volta aiutati da due amici americani, l’artista Lily Yeh e dal direttore di danza Wilson German. E’ stato un momento bellissimo per i ragazzi di strada che frequentano i due centri : Boma Rescue Center e Korogocho Street Children Programme. Mentre la Lily aiutava i ragazzi di strada a disegnare, German li ha aiutati a fare teatro popolare. Lo spettacolo che hanno offerto al Paa ya Paa (un centro artistico retto dal noto Elimu Njao) è stato davvero travolgente. “Fiori dimenticati” era il titolo significativo dello spettacolo. “Ho un sogno” - cantavano i ragazzi di strada - con una grinta straordinaria. La gente mi rispetterà. Uno di noi sarà un giorno Presidente!”
Non dimenticherò mai la cena fatta con Lily e Wilson nella casa dei volontari Acri, Monica e Claudina che fanno uno splendido lavoro. (Monica segue i programmi dei ragazzi di strada e Claudina le cooperative del Bega Kwa Bega e del Mukuru). Wilson (minato dal cancro) scoppio’ in pianto. “Ho visto oggi una cosa bellissima: questi ragazzi di strada presentarsi con tanta forza e dignita’ da lasciarmi interdetto. Io sono povero, un povero nero d’America. Ma farò di tutto per racimolare un po’ di soldi per ritornare e dare speranza a questi ragazzi. Sono troppo bravi!”. E singhiozzava ripensando alle sue lotte per i diritti umani degli africano-americani accanto a Martin Luther King. Abbiamo già chiesto ad Amref (una grande organizzazione internazionale) di darci una mano per far partire un movimento politico che riunisca i vari centri di Nairobi (sono una valanga) che lavorano per i ragazzi di strada ma che fanno purtroppo solo assistenza. Abbiamo bisogno di azione politica.
Mai come quest’anno ho sentito e ho vissuto l’esperienza di Dio dentro le lotte dei poveri. Essi sono un vero luogo teologico. Mai mi sono sentito così vivo nonostante tutta la morte e le sconfitte, i crolli che mi attorniano. Ho sentito pulsare vita. Ho sentito i poveri danzare la vita. La gioia grande dei lavoratori della Del Monte quando lo scorso marzo si sono incontrati a Thika per celebrare la loro vittoria sulla multinazionale. E’ stato un momento forte. L’impegno del sindacalista Daniel Kiule e di Stephen Ouma che ora lavora con il Kenya Human Rights Commission. (Stephen ci dà una mano incredibile anche con la scuola informale di St.John che sta filando via come un orologio. Nella gestione della scuola la comunità di St.John ha fatto passi da gigante!). La vittoria sulla Del Monte ha aperto le porte per la campagna contro l’ industria dei fiori. Dopo un anno di indagini è ora pronto il documento finale che mette a nudo la drammatica realtà di 120.000 operai (in buona parte donne)che lavorano in questo settore.
La campagna nazionale si aprirà il 10 febbraio con una conferenza stampa che rivelerà il vero volto dell’industria dei fiori, la più fiorente in Kenya. E inviterà i Keniani ad un boicottaggio simbolico per il 14 febbraio (No ai fiori per San Valentino). La settimana verrà chiusa da una celebrazione a Naivasha il 17 febbraio in memoria delle vittime di questo settore. All’industria dei fiori verrà dato un chiaro ammonimento: tre mesi per trattare altrimenti a maggio si andrà ad un boicottaggio internazionale. Vari organismi si sono dati un appuntamento a Nairobi il prossimo maggio per lanciare un boicottaggio dei fiori Keniani in Europa (i fiori arrivano ad Amsterdam e da lì sono distribuiti in varie nazioni europee).
Un lungo cammino, il cammino dei poveri, degli oppressi… Ma su queste strade ho sperimentato sempre più vivo il Dio di Mosè, il Papi di Gesù, il Dio che cammina con il Suo Popolo, il Dio che libera. Ho vissuto la spiritualità dell’Esodo. Un cammino illuminato dalla lettura continuata dell’Apocalisse che ci ha accompagnato in questo anno difficile. Che forza rivoluzionaria la lettura della Parola fatta nei bassifondi della storia. Per me dodici anni di Parola a Korogocho mi hanno causato una rivoluzione copernicana. E’ un dono grande che ho ricevuto. Parola che diventa volto: il volto di Gesù, il volto dei poveri. I volti della gente della discarica, i volti dei ragazzi di strada, i volti di donne, i volti di lebbrosi, volti di malati di Aids. I momenti serali stupendi di eucaristia celebrata a lume di lampada nelle baracche con la piccola comunità cristiana.
I volti…..un volto! Quello di Grazia, una ragazza madre che è venuta a vedermi la vigilia di Natale. L’avevo conosciuta nel lontano Natale del 94. In quella lontana notte in un locale notturno era stata presa da quattro giovani che l’avevano violentata per tutta la notte. Non riusciva più neanche a camminare. “E’ apparsa la Grazia del Signore nostro Gesù Cristo….”. E’ quella la Parola che risuona nella notte natalizia. Guardando in volto Grazia mi sembrava una bestemmia. Avevo aiutato Grazia, ragazza madre con due figli, ad uscire dalla prostituzione, dall’alcol e dalla droga. Riuscì lentamente a rimettersi in piedi, ad uscire dal giro e a gestire un piccolo business, raccolta e rivendita di bottiglie usate. Era una gioia il vederla!
Alla vigilia di questo natale 2001 (sette anni dopo) era venuta a vedermi, in lacrime. “Cosa c’è Grazia?” le chiesi. “Non saprei come ringraziarti per quello che hai fatto per me. Non avrò vite abbastanza per farlo. Ma in questi giorni sono stata male, ho fatto l’esame e il dottore mi ha detto che ho l’AIDS. Alex ieri ho tentato di bere e di far bere ai miei figli il veleno dei topi. Non me ne importa della mia vita ma mi tormenta il pensiero di lasciare soli questi miei due figli. Non hanno nessuno.” “Grazia” replico “il Signore ti ha dato una grossa mano per rinascere! ” “Sì è vero” mi risponde. “Vuoi che non ti aiuti in questo momento? Fidati ”. Si asciugò le lacrime. La vidi il giorno di Natale fare la comunione. Con volto provato ma sereno.
Sono questi i volti del mio Natale La vigilia anche noi, come tutte le piccole comunità cristiane ci siamo ritrovati a casa nostra a bere il tè della riconciliazione e a condividere quello che sentiamo in questo Natale. Il fratello Gino, le due volontarie, Claudina e Monica, padre Daniele (grande dono di Natale, segno tangibile che i comboniani hanno assunto Korogocho), e l’ugandese padre Alex Matua e altri amici. Un momento di intimità domestica. All’imbrunire siamo andati alla chiesetta di St. John per la celebrazione dell’eucaristia natalizia. La comunità aveva proprio voglia di celebrare, di cantare, di danzare. Era festa. Dopo il Vangelo come i pastori siamo andati in processione alla capanna dove abbiamo ascoltato l’annunciato “Mtoto amezaliwa Mukuru” (Un bimbo è nato nella discarica).
Ritornammo poi nella chiesetta per spezzare il pane. Poi le comunità ritornarono poi alle loro baracche. Noi invece con le comunità della discarica e i ragazzi di strada siamo andati al progetto della discarica. E con i raccoglitori di rifiuti, con i ragazzi di strada (non sono questi i pastori di una volta?) abbiamo vegliato, pregato, danzato fino all’alba. Un’alba stupenda carica di rosso, carica di speranza. Poi abbiamo celebrato due eucaristie gioiose, festose. Nella seconda abbiamo celebrato il battesimo di una dozzina di bimbi. Festa della vita! Siamo ritornati a mangiare un boccone con la gente della discarica. Vero pranzo di Natale con i più disprezzati. E poi per i viottoli della baraccopoli siamo andati a portare l’eucaristia ai malati di Aids.
Il giorno dopo una stupenda celebrazione eucaristica con la piccola comunità dell’Ujamaa, la comunità dei lebbrosi. Era proprio Natale. Soprattutto quando abbiamo condiviso il cibo con loro. Ci voleva proprio dopo un anno così duro, così intenso. Una boccata d’ossigeno, un sorso di vita.
Soprattutto dopo gli eventi dell’11 settembre e la conseguente guerra degli USA contro l’Afghanistan. Me li son portati nello stomaco come dei macigni che mi hanno fatto un male boia. E’ la rivelazione (Apocalisse) dell’assurdita’ del sistema.
“Dio ci sfida a ripensare la nostra maniera di vivere e di agire. – afferma il teologo sudafricano Albert Nolan – “non siamo noi forse colpevoli di servire due maestri, Dio e il denaro, Dio e il materialismo?.”
Questa crisi e’ un momento unico per dire la nostra fede, il nostro status confessionis. Per questo mi ha fatto ancora piu’ male il silenzio della Chiesa e delle Chiese (anche se ci sono delle eccezioni).
Korogocho e’ un luogo privilegiato per sperimentare questo. “La Chiesa adempie la sua vocazione quando e’ presente di fronte alle rotture che crocefiggono l’umanita’ nella sua carne e nella sua unita’ ” - cosi’ afferma il vescovo Claverie assassinato nel 1996 in Algeria. “Gesu’ e’ morto dilaniato tra cielo e terra, le braccia protese a riunire i figli di Dio dispersi dal peccato che li separa, li isola e li volge gli uni contro gli altri e contro Dio stesso. Egli si e’ posto sulle linee di frattura nate da questo peccato. In Algeria siamo proprio al nostro posto giacche’ e’ in questo luogo che si puo’ intravedere la luce della Risurrezione.” Anche noi a Korogocho siamo al posto giusto!
Nella notte fonda di natale ho rivisto brillare la croce del Sud che mi ha sempre accompagnato in questi duri ma bellissimi anni a Korogocho...... quattro punti luminosi.... aspettando ora di camminare con voi sotto la stella polare, la stella del Nord. Il cammino e’ uno.....buon cammino.
Sijambo!
Alex
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