Alex Zanotelli

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«L'orrore di quel voto sporco»

1 dicembre 2001
Alex Zanotelli

Dalla lontana Nairobi, apprendo con profondo orrore che anche l'Italia ufficialmente entra in guerra. Con un voto scellerato del Parlamento, il tanto decantato tricolore si renderà complice e autore di morti di migliaia di civili, di assurde stragi, di bombardamenti su città, villaggi, su popolazioni inermi, ridotte alla fame da condizioni di vita disperate. Un voto di una gravità inaudita quello del nostro Parlamento, che colloca l'Italia in una pagina nera della storia del mondo, una pagina listata a lutto e datata mercoledì 7 novembre 2001. A lungo porteremo con noi le conseguenze tragiche di quel voto, perché con quel sì alla guerra, non soltanto avalliamo decisioni politiche partorite dall'Impero, ma perdiamo anche una grande occasione: quella di dire no agli orrori, quella di dare finalmente a questo Paese dignità e spessore in un momento così fondamentale per le relazioni internazionali.
La mia costernazione non sarà mai abbastanza rispetto agli effetti che quel voto "sporco" sarà capace di produrre. Dai ghetti-discarica di Nairobi, dove milioni di persone vivono ammassate una sull'altra, dove i liquami degli scarichi fognari penetrano nelle baracche disegnando solchi di una puzza insopportabile, dall'Italia mi sarei aspettato notizie più confortanti che non uno squallido e stupido trionfalismo guerrafondaio. Tanto più squallido e tanto più stupido in quanto sostenuto da quegli esponenti del centrosinistra che sembrano aver dimenticato i valori dell'uomo, del vivere civile, del rispetto delle culture altre. E scelgono di imbracciare il moschetto. Le parole di Rutelli e degli altri guerrafondai della sinistra pesano come macigni sulla storia del nostro Paese e io mi domando: ma che sinistra è mai quella che spedisce i popoli all'inferno? Già prima del 13 maggio, avevo avvertito il pericolo che poteva provenire da una maggioranza parlamentare di centro-destra guidata da Silvio Berlusconi. Oggi quel pericolo è una realtà e i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Gli italiani dovrebbero riflettere sull' affidabilità di un premier che scende in piazza a sostegno della guerra e su una parte consistente del centro-sinistra che arriva ad ossequiarlo.
Mercoledì 7 novembre, l'Italia che ha detto sì alle bombe, nello stesso tempo ha calpestato la propria Costituzione, quella che all'articolo 11 dice testualmente: «L' Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli....». Possibile che la gravità di questa cosa lasci indifferente il Presidente della Repubblica, che della Costituzione deve farsi garante? Mi giungono notizie di appelli alle famiglie italiane perché tengano un tricolore in casa: ma a queste famiglie, viene detto che quel tricolore da oggi è macchiato di sangue?
Ci vogliono far credere che quella votata mercoledì sia una guerra necessaria, contro il terrorismo, uno strumento indispensabile per ridare all'Italia quel ruolo che le competerebbe a livello internazionale. Mai ascoltate tante falsità in una sola volta. Guerra necessaria è un binomio creato ad arte da chi pensa soltanto ai propri spudorati interessi, da chi non conosce le vie del dialogo e della pace, da chi non ha nessuna considerazione della vita umana. Ogni guerra fa stragi di civili e così sarà anche in questo caso. Lo sa il presidente Ciampi? Guerra al terrorismo è concetto altrettanto falso, perché altrimenti dovremmo combattere tutti i terrorismi, tutte le ingiustizie, tutte le stragi. Ma così non è. Che cosa dovremmo pensare, allora, di chi uccide 30-40 milioni di persone ogni anno? E' il numero dei morti "dimenticati", morti di fame, di malattie, morti in conflitti regionali dei quali nessuno parla, bambini morti per sfruttamento sul lavoro, per schavitù: il ricco occidente non può dirsi estraneo a queste tragedie.
L'appuntamento che si è dato oggi a Roma il popolo della pace è di quelli da non perdere, perché far sentire alta la propria voce oggi contro questo vergognoso interventismo diventa più di un dovere, diventa, questa sì, una scelta necessaria per indicare le vie della non violenza, del dialogo, della giustizia. Da questa lontana terra, anche io griderò «non sono d'accordo». Tra qualche anno ci diranno che avevamo ragione. Speriamo che non sia troppo tardi.

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