La tentazione del nucleare
1 ottobre 2008
Alex Zanotelli
Fonte: Mosaico di Pace
Il nucleare civile rappresenta la soluzione ai problemi energetici. Parola del ministro Scajola del governo Berlusconi. Si prospetta anche un sostanziale appoggio dell’opposizione (ahinoi!), consapevole dell’esigenza di rendersi credibile, insieme al governo, per una soluzione tanto del problema energetico che del cambiamento climatico. Peccato che tutto avvenga senza alcun dibattito. Senza alcuna informazione alla base. Senza alcun confronto.
Alcune domande s’impongono. Il nucleare civile è una risposta adeguata ai problemi dell’umanità? Sarà in grado di eliminare la povertà dalla faccia della terra? E soprattutto: cosa è cambiato rispetto al referendum del 1987, che ha visto la popolazione italiana esprimersi nettamente contro il nucleare? E se questa storia, come scrive la rivista ecumenica americana Sojourners, fosse solo “una cinica scommessa dell’industria nucleare per salvare se stessa”? Noi qualche dubbio (più di qualcuno veramente), in merito alla necessità di aprire le porte di casa nostra al nucleare civile, lo nutriamo. Oggi come ieri.
Certo, un editoriale non è il luogo opportuno per un’analisi e una comparazione dettagliata di profitti e costi, vantaggi e rischi, riflessioni etiche e ambientali. Ma qualche dato può certo essere da sprone. Per aprire un dibattito. Per un confronto, necessario in una società democratica e pluralista. Un dibattito che auspichiamo si apra anche nelle chiese. In questi ultimi 40 anni l’energia prodotta dal nucleare negli Stati Uniti è costata 492 miliardi di dollari. Cifra che non include voci come l’eliminazione delle scorie o la chiusura degli impianti atomici. Se dovessimo sommare anche questi costi, raggiungeremmo, negli Usa, i 700 miliardi di dollari per la produzione di energia nucleare, che rappresenta, al massimo, il 10% dell’energia totale necessaria. Si aggiunge poi il pericolo incidenti. E su questo – nonostante le rassicurazioni propinateci – Chernobyl insegna! Il 90% degli 800 mila pompieri e incaricati delle pulizie al reattore sono diventati invalidi o inabili al lavoro. Perplessità omologhe legittimamente si pongono sul timore di proliferazione nucleare – perché la connessione tra energia e armi nucleari vien facile – e sul problema irrisolto delle scorie, semplicemente stoccate nei siti dei reattori atomici. Non sepolte, nonostante si sappia che i loro effetti mortali durano ben 200 mila anni!
Il fisico Angelo Baracca afferma: “La scelta che dobbiamo fare non è tra l’energia che otteniamo dal carbone e il nucleare. C’è una via alternativa che può diminuire i gas serra e dare abbastanza energia per un’economia mondiale in espansione. Ma lo fa incoraggiando i processi democratici, potenziando le realtà locali e in maniera sostenibile. [... ] La critica più radicale che prima di ogni altra muovo ai programmi di rilancio del nucleare è di alimentare ancora l’illusione che sia possibile continuare a consumare energia e a continuare a crescere. Il pianeta non sarà in grado di reggere ritmi di crescita e di consumo di questo genere, anche se riusciamo ad arrestare tutte le emissioni di CO2”. Perché, di fronte al problema dell’energia, non si batte la strada delle alternative possibili, già sperimentate in altri paesi europei? Perché non se ne parla a sufficienza? Forse perché non siamo disposti a modificare, a rivedere, a contenere il nostro stile di vita e a ridurre i nostri consumi? Come in ogni questione, invece, l’alternativa esiste. Il suo primo grande nome è risparmio energetico per un uso meno irrazionale di una risorsa esauribile. Forse si può puntare di più sulle fonti rinnovabili e sul decentramento: l’energia può, deve, essere gestita dalle comunità locali, dai comuni, dalle realtà provinciali o regionali. Ci preoccupa l’apertura recentemente manifestata dal card. Raffaele Martino, Presidente del Consiglio della Giustizia e della Pace, verso l’uso del nucleare civile. Queste affermazioni, nella chiesa come in politica, destano in noi alcune serie perplessità – di ordine etico e non solo – e non possiamo condividerle. Il nostro auspicio è che si apra un largo dibattito su questo tema. Sono in gioco valori alti, vitali, una sfida da non perdere. E da non lasciare solo in mano ai cosiddetti tecnici.
In questi ultimi 40 anni l’energia prodotta dal nucleare negli Stati Uniti è costata 492 miliardi di dollari. Cifra che non include voci come l’eliminazione delle scorie o la chiusura degli impianti atomici. Se dovessimo sommare anche questi costi, raggiungeremmo, negli Usa, i 700 miliardi di dollari per la produzione di energia nucleare, che rappresenta, al massimo, il 10% dell’energia totale necessaria. Si aggiunge poi il pericolo incidenti. E su questo – nonostante le rassicurazioni propinateci – Chernobyl insegna! Il 90% degli 800 mila pompieri e incaricati delle pulizie al reattore sono diventati invalidi o inabili al lavoro. Perplessità omologhe legittimamente si pongono sul timore di proliferazione nucleare – perché la connessione tra energia e armi nucleari vien facile – e sul problema irrisolto delle scorie, semplicemente stoccate nei siti dei reattori atomici. Non sepolte, nonostante si sappia che i loro effetti mortali durano ben 200 mila anni!
Il fisico Angelo Baracca afferma: “La scelta che dobbiamo fare non è tra l’energia che otteniamo dal carbone e il nucleare. C’è una via alternativa che può diminuire i gas serra e dare abbastanza energia per un’economia mondiale in espansione. Ma lo fa incoraggiando i processi democratici, potenziando le realtà locali e in maniera sostenibile. [... ] La critica più radicale che prima di ogni altra muovo ai programmi di rilancio del nucleare è di alimentare ancora l’illusione che sia possibile continuare a consumare energia e a continuare a crescere. Il pianeta non sarà in grado di reggere ritmi di crescita e di consumo di questo genere, anche se riusciamo ad arrestare tutte le emissioni di CO2”. Perché, di fronte al problema dell’energia, non si batte la strada delle alternative possibili, già sperimentate in altri paesi europei? Perché non se ne parla a sufficienza? Forse perché non siamo disposti a modificare, a rivedere, a contenere il nostro stile di vita e a ridurre i nostri consumi? Come in ogni questione, invece, l’alternativa esiste. Il suo primo grande nome è risparmio energetico per un uso meno irrazionale di una risorsa esauribile. Forse si può puntare di più sulle fonti rinnovabili e sul decentramento: l’energia può, deve, essere gestita dalle comunità locali, dai comuni, dalle realtà provinciali o regionali.
Ci preoccupa l’apertura recentemente manifestata dal card. Raffaele Martino, Presidente del Consiglio della Giustizia e della Pace, verso l’uso del nucleare civile. Queste affermazioni, nella chiesa come in politica, destano in noi alcune serie perplessità – di ordine etico e non solo – e non possiamo condividerle. Il nostro auspicio è che si apra un largo dibattito su questo tema. Sono in gioco valori alti, vitali, una sfida da non perdere. E da non lasciare solo in mano ai cosiddetti tecnici.
Alcune domande s’impongono. Il nucleare civile è una risposta adeguata ai problemi dell’umanità? Sarà in grado di eliminare la povertà dalla faccia della terra? E soprattutto: cosa è cambiato rispetto al referendum del 1987, che ha visto la popolazione italiana esprimersi nettamente contro il nucleare? E se questa storia, come scrive la rivista ecumenica americana Sojourners, fosse solo “una cinica scommessa dell’industria nucleare per salvare se stessa”? Noi qualche dubbio (più di qualcuno veramente), in merito alla necessità di aprire le porte di casa nostra al nucleare civile, lo nutriamo. Oggi come ieri.
Certo, un editoriale non è il luogo opportuno per un’analisi e una comparazione dettagliata di profitti e costi, vantaggi e rischi, riflessioni etiche e ambientali. Ma qualche dato può certo essere da sprone. Per aprire un dibattito. Per un confronto, necessario in una società democratica e pluralista. Un dibattito che auspichiamo si apra anche nelle chiese. In questi ultimi 40 anni l’energia prodotta dal nucleare negli Stati Uniti è costata 492 miliardi di dollari. Cifra che non include voci come l’eliminazione delle scorie o la chiusura degli impianti atomici. Se dovessimo sommare anche questi costi, raggiungeremmo, negli Usa, i 700 miliardi di dollari per la produzione di energia nucleare, che rappresenta, al massimo, il 10% dell’energia totale necessaria. Si aggiunge poi il pericolo incidenti. E su questo – nonostante le rassicurazioni propinateci – Chernobyl insegna! Il 90% degli 800 mila pompieri e incaricati delle pulizie al reattore sono diventati invalidi o inabili al lavoro. Perplessità omologhe legittimamente si pongono sul timore di proliferazione nucleare – perché la connessione tra energia e armi nucleari vien facile – e sul problema irrisolto delle scorie, semplicemente stoccate nei siti dei reattori atomici. Non sepolte, nonostante si sappia che i loro effetti mortali durano ben 200 mila anni!
Il fisico Angelo Baracca afferma: “La scelta che dobbiamo fare non è tra l’energia che otteniamo dal carbone e il nucleare. C’è una via alternativa che può diminuire i gas serra e dare abbastanza energia per un’economia mondiale in espansione. Ma lo fa incoraggiando i processi democratici, potenziando le realtà locali e in maniera sostenibile. [... ] La critica più radicale che prima di ogni altra muovo ai programmi di rilancio del nucleare è di alimentare ancora l’illusione che sia possibile continuare a consumare energia e a continuare a crescere. Il pianeta non sarà in grado di reggere ritmi di crescita e di consumo di questo genere, anche se riusciamo ad arrestare tutte le emissioni di CO2”. Perché, di fronte al problema dell’energia, non si batte la strada delle alternative possibili, già sperimentate in altri paesi europei? Perché non se ne parla a sufficienza? Forse perché non siamo disposti a modificare, a rivedere, a contenere il nostro stile di vita e a ridurre i nostri consumi? Come in ogni questione, invece, l’alternativa esiste. Il suo primo grande nome è risparmio energetico per un uso meno irrazionale di una risorsa esauribile. Forse si può puntare di più sulle fonti rinnovabili e sul decentramento: l’energia può, deve, essere gestita dalle comunità locali, dai comuni, dalle realtà provinciali o regionali. Ci preoccupa l’apertura recentemente manifestata dal card. Raffaele Martino, Presidente del Consiglio della Giustizia e della Pace, verso l’uso del nucleare civile. Queste affermazioni, nella chiesa come in politica, destano in noi alcune serie perplessità – di ordine etico e non solo – e non possiamo condividerle. Il nostro auspicio è che si apra un largo dibattito su questo tema. Sono in gioco valori alti, vitali, una sfida da non perdere. E da non lasciare solo in mano ai cosiddetti tecnici.
In questi ultimi 40 anni l’energia prodotta dal nucleare negli Stati Uniti è costata 492 miliardi di dollari. Cifra che non include voci come l’eliminazione delle scorie o la chiusura degli impianti atomici. Se dovessimo sommare anche questi costi, raggiungeremmo, negli Usa, i 700 miliardi di dollari per la produzione di energia nucleare, che rappresenta, al massimo, il 10% dell’energia totale necessaria. Si aggiunge poi il pericolo incidenti. E su questo – nonostante le rassicurazioni propinateci – Chernobyl insegna! Il 90% degli 800 mila pompieri e incaricati delle pulizie al reattore sono diventati invalidi o inabili al lavoro. Perplessità omologhe legittimamente si pongono sul timore di proliferazione nucleare – perché la connessione tra energia e armi nucleari vien facile – e sul problema irrisolto delle scorie, semplicemente stoccate nei siti dei reattori atomici. Non sepolte, nonostante si sappia che i loro effetti mortali durano ben 200 mila anni!
Il fisico Angelo Baracca afferma: “La scelta che dobbiamo fare non è tra l’energia che otteniamo dal carbone e il nucleare. C’è una via alternativa che può diminuire i gas serra e dare abbastanza energia per un’economia mondiale in espansione. Ma lo fa incoraggiando i processi democratici, potenziando le realtà locali e in maniera sostenibile. [... ] La critica più radicale che prima di ogni altra muovo ai programmi di rilancio del nucleare è di alimentare ancora l’illusione che sia possibile continuare a consumare energia e a continuare a crescere. Il pianeta non sarà in grado di reggere ritmi di crescita e di consumo di questo genere, anche se riusciamo ad arrestare tutte le emissioni di CO2”. Perché, di fronte al problema dell’energia, non si batte la strada delle alternative possibili, già sperimentate in altri paesi europei? Perché non se ne parla a sufficienza? Forse perché non siamo disposti a modificare, a rivedere, a contenere il nostro stile di vita e a ridurre i nostri consumi? Come in ogni questione, invece, l’alternativa esiste. Il suo primo grande nome è risparmio energetico per un uso meno irrazionale di una risorsa esauribile. Forse si può puntare di più sulle fonti rinnovabili e sul decentramento: l’energia può, deve, essere gestita dalle comunità locali, dai comuni, dalle realtà provinciali o regionali.
Ci preoccupa l’apertura recentemente manifestata dal card. Raffaele Martino, Presidente del Consiglio della Giustizia e della Pace, verso l’uso del nucleare civile. Queste affermazioni, nella chiesa come in politica, destano in noi alcune serie perplessità – di ordine etico e non solo – e non possiamo condividerle. Il nostro auspicio è che si apra un largo dibattito su questo tema. Sono in gioco valori alti, vitali, una sfida da non perdere. E da non lasciare solo in mano ai cosiddetti tecnici.
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