L’acqua? Un diritto umano cioè un bene pubblico
«Sento il dovere di rivolgermi alle comunità cristiane in Italia perché ci aiutino a salvare l’acqua, unendosi al vasto movimento popolare che si riconosce nel Forum italiano dei movimenti dell’acqua, per costringere il nostro governo e le forze politiche ad affermare che l’acqua è un bene comune, diritto fondamentale umano e, come tale, deve essere gestito da aziende pubbliche speciali».
L’appello è stato lanciato dal missionario comboniano padre Alex Zanotelli, in occasione della Giornata del Creato che si è tenuta lo scorso primo settembre. Un appello che nasce dalla preoccupazione per l’approvazione della legge 133 del 6 agosto 2008 (articolo 23 bis), che stabilisce «il conferimento della gestione dei servizi pubblici locali, in via ordinaria, a favore di imprenditori o di società in qualunque forma costituite individuati mediante procedure competitive ad evidenza pubblica». In sostanza i Comuni saranno obbligati a ridurre la quota del pubblico nella gestione dell’acqua al 30 per cento entro il 2012.
- Padre Alex, nel suo appello lei chiama in causa governo, Parlamento, Chiesa italiana. Che cosa chiede?
«Innanzitutto una grande opera di sensibilizzazione dell’opinione pubblica, che ignora totalmente questi problemi. Sensibilizzazione non solo sulle questioni italiane, e in particolare sul processo di privatizzazione che è stato avviato dal nostro governo ma, più in generale, su tutto ciò che riguarda lo sfruttamento e l’accesso all’acqua nel mondo. Non possiamo dimenticare che le conseguenze più serie e devastanti dei cambiamenti climatici riguardano proprio l’acqua, sul piano della disponibilità sia quantitativa che qualitativa. L’acqua è un bene che diventerà sempre più raro, sia per il cambiamento climatico che per l’aumento della domanda. È facile immaginare che ovunque, qui in Italia come in molte parti del mondo, l’acqua sia diventata e diventerà ancor più oggetto di interessi e di conflitti. Se si sono fatte le guerre per il petrolio, che cosa si farà per una risorsa così vitale come l’acqua che oggi scarseggia sempre più?».
- Eppure, la legge approvata dal Parlamento italiano, con l’appoggio anche delle opposizioni, è passata completamente in sordina. Quasi nessun accenno sui media, nessuna protesta, nessuna presa di posizione. Come spiega questa disattenzione?
«C’è pochissima sensibilità su questo tema, ovvero sul fatto che l’acqua sia un bene essenziale, fondamentale. Un diritto e non una merce. Il processo di privatizzazione dell’acqua avviato dal nostro Parlamento è una decisione estremamente grave. Per questo chiediamo che il governo riconosca l’acqua come diritto fondamentale umano e favorisca modelli di gestione senza scopo di lucro. Le problematiche legate all’accesso e alla gestione dell’acqua ci interpellano direttamente anche come cristiani. Lo ha sostenuto lo stesso papa Benedetto XVI nella sua enciclica sociale Caritas in Veritate, dove afferma chiaramente che il diritto all’alimentazione e all’acqua ha un ruolo fondamentale per il perseguimento di altri diritti, a cominciare dal diritto primario alla vita».
- Il diritto all’acqua promana, secondo il Papa, dal diritto primario alla vita. Ma mentre alcuni governi "usano" l’acqua come strumento geo-politico, altri sembrano più orientati a proporre che l’acqua faccia parte dell’agenda per il nuovo trattato mondiale. Qual è il suo punto di vista?
«Sono molti oggi gli esperti che ritengono che proprio quello che dice il Papa – ovvero che il diritto all’acqua è strettamente legato al diritto primario alla vita – possa essere la base giuridica più sicura per fondarvi il diritto all’acqua, anche in chiave internazionale. Toccherà ora all’Onu proclamare tale diritto».
- La Chiesa italiana, sia a livello ufficiale che di base, non sembra ancora molto coinvolta in tali questioni...
«Noi chiediamo innanzitutto che la Conferenza episcopale italiana, sulla scia dell’enciclica Caritas in Veritate, proclami l’acqua diritto fondamentale umano. Ma i temi legati alla salvaguardia del Creato devono diventare anche teologia morale, devono passare nelle catechesi, entrare nelle omelie. Devono insomma arrivare alle comunità cristiane e dalle comunità locali deve partire un movimento di protesta e di proposta contro la mercificazione dell’acqua e per la promozione di stili di vita più sostenibili e solidali».
- Solidarietà e profitto: i due concetti sembrano alquanto antitetici in un mondo globalizzato dove prevalgono le logiche dell’economia, rispetto alla politica o ai temi etici. I processi di mercificazione dell’acqua, presenti ovunque nel mondo, sembrano dimostrare che le logiche di profitto prevalgano su tutto. Lei che ne pensa?
«La politica deve riappropriarsi del suo ruolo di servizio in vista del bene pubblico, ispirandosi a un’etica del bene comune. Purtroppo vediamo che le grandi multinazionali stanno imponendo le loro logiche, mettendo le mani sull’acqua ovunque nel mondo. In molti Paesi, stanno facendo pesanti operazioni di lobbying sui governi perché dichiarino l’acqua privatizzabile. Le prime otto al mondo sono europee, e stanno facendo grosse pressioni anche sull’Ue».
- In diversi Paesi europei la popolazione se n’è accorta solo quando le bollette sono aumentate in maniera esponenziale. Mentre in molti Paesi poveri la privatizzazione dell’acqua ha significato un drammatico aumento del numero di persone che non vi hanno accesso. A suo giudizio, è ancora possibile fare marcia indietro?
«Forse dovremmo recuperare la saggezza di tante popolazioni, che in passato sono riuscite a creare sistemi razionali e solidali di gestione dell’acqua. O prendere esempio dalla religiosità delle popolazioni indigene, che mai potrebbero immaginare di vendere la loro acqua o la loro terra: acqua che significa vita, terra che è la casa dei loro antenati. Anche nella religione cristiana, l’acqua è un elemento simbolico fondamentale. Per questo deve nascere una spiritualità nuova, che ispiri anche nuovi stili di vita e di consumo più rispettosi degli altri e dell’ambiente».
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